CAPITOLO II

Vivere con un bimbo piccolo

Il bimbo piange: i genitori devono rispondere?

Immaginate di essere rapiti da un’astronave aliena e portati su un pianeta lontano. Siete circondati da misteriose, gigantesche creature che non parlano la vostra lingua. Due di loro vi prendono sotto la loro custodia. Dipendete da loro per tutti i vostri bisogni: bere, mangiare, stare bene e soprattutto sentirvi sicuri in quel posto strano. A questo punto immaginate di sentirvi male, di avere una sete terribile o bisogno di rassicurazione: piangete disperati, ma i vostri tutori vi ignorano. Non riuscite a farvi capire per ricevere aiuto, per fare in modo che capiscano i vostri bisogni. Ora avete un altro problema, peggiore del primo: vi sentite del tutto impotenti e smarriti in un mondo alieno.


A nessuno piace essere ignorato. È una condizione che suscita sentimenti di rabbia e impotenza che danneggiano qualsiasi relazione; si tratta di una reazione universale conosciuta da tutti gli adulti, non c’è ragione di pensare che sia diverso per i bambini e i neonati. Pressoché nessuno ignora un adulto che ripeta in continuazione: “Aiuto, non mi sento bene!” Ma un bambino non è in grado di esprimere tale richiesta, può solo continuare a piangere fino a quando qualcuno risponde, o arrendersi sconsolato.


Nella cultura occidentale moderna si ritiene che il pianto sia una cosa normale e inevitabile per i bambini. Eppure per migliaia di anni gli adulti hanno risposto subito e senza esitazione al pianto del bambino: nelle società in cui i piccoli – per molti mesi – rimangono vicini alla madre per la maggior parte del giorno e della notte, il pianto è raro. E al contrario di quello che molti pensano nella nostra società, i bambini accuditi in questo modo diventano indipendenti prima dei bambini che non ricevono queste cure.


Anche le ricerche sulle esperienze dell’infanzia lo confermano: i bambini che hanno ricevuto le cure più amorevoli diventano adulti più affettuosi e sicuri di sé, mentre quelli costretti a comportamenti remissivi accumulano risentimenti e rabbia che in seguito potrebbero esprimersi in modo distruttivo.1


Malgrado tutte le ricerche, la maggior parte delle giustificazioni per ignorare il pianto del bambino si riducono al solo argomento di non “viziare” il bambino. In un tipico opuscolo sulla cura dei lattanti si consigliava ai genitori di “lasciare che il bambino si arrangi per un po’”.


Se da una parte è vero che la prima infanzia mette alla prova i genitori, dall’altra un bambino è ancora troppo piccolo e inesperto per “arrangiarsi”, qualsiasi ragione abbia di piangere. Non è capace di nutrirsi, cambiarsi o rassicurarsi come ha bisogno la sua natura. È ovvia responsabilità dei genitori andare incontro ai bisogni dei bambini di essere amati, accuditi e protetti; non è responsabilità di un bambino occuparsi del bisogno di tranquillità e pace degli adulti. L’opuscolo voleva intendere che se un genitore lascia al bambino la possibilità di essere autosufficiente per un po’ lo aiuterà a crescere. Ma questa maturazione non è alla portata del lattante: un’autentica maturazione è il riflesso di una solida base di sicurezza emotiva che proviene solo dall’amore e dal sostegno di chi gli sta vicino nei primi anni di vita.