Quanti diversi modi esistono per crescere i figli? Probabilmente milioni. È possibile classificare questi milioni di stili educativi in pochi gruppi? Solo tramite un radicale riduzionismo, costringendo aspetti molto diversi a rientrare in un dato modello.
CAPITOLO II
Stili parentali
Genitori ad alto contatto
Alcuni genitori, tra i lettori di questo libro, si definiscono ad alto contatto o con attaccamento. Queste espressioni sono tentativi di tradurre l’equivalente inglese attachment parenting, ideata dal pediatra William Sears. Molti pensano che questo più o meno significhi allattare, dormire insieme e prendere molto in braccio. In realtà, esistono dei “princìpi dell’attachment parenting” che non prevedono esattamente questo. Gli otto principi per la crescita dei figli, secondo l’API, Attachment Parenting International (www.attachmentparenting.org) sono:
Prepararsi alla gravidanza, al parto e alle cure parentali
Nutrire con amore e rispetto
Rispondere con sensibilità
Favorire il contatto fisico
Garantire un sonno sicuro, dal punto di vista fisico ed emotivo
Offrire cure costanti e amorevoli
Praticare una disciplina basata sul rispetto e l’empatia
Cercare l’equilibrio tra la vita personale e quella familiare
Il termine è ispirato alla teoria dell’attaccamento, attachment theory, formulata dell’esperto di psichiatria infantile John Bowlby. Le due espressioni però si riferiscono a cose completamente diverse. Infatti la teoria dell’attaccamento sostiene, per l’esattezza, che tutti i bambini (eccetto forse alcuni casi molto patologici) stabiliscono un legame di attaccamento che può essere sicuro o insicuro. La maggior parte dei bambini sviluppa un attaccamento sicuro. Quando era “proibito” prendere in braccio i bambini, lasciarli piangere era la norma, e quasi nessuno allattava, la maggior parte dei bambini aveva comunque un attaccamento sicuro. E viceversa, in società in cui praticamente tutti i bambini dormono con la madre, vengono portati sulla schiena e allattati per due o tre anni, esistono bambini con attaccamento insicuro.
L’attaccamento sicuro non dipende da quanto tempo il bambino è stato in braccio, ma dalle attenzioni che ha ricevuto. Vale a dire, dal fatto che chi si prende cura di lui risponda alle sue necessità con rapidità ed efficacia, accettando i suoi sentimenti, dandogli conforto e sicurezza. Si può tenere sempre in braccio un neonato e ignorarlo, oppure, quando è più grandicello, insistere nel tenerlo in braccio quando vuole solo gattonare. Si può prendere in braccio un bambino che piange, ma non accettarlo né rispondere ai suoi bisogni, o persino rifiutarlo e ridicolizzarlo (“Non posso crederci, una bimba così grande”, “Come sei brutto quando piangi”, “Non fare così, non è niente”) o, ancora, anteporre una presunta sofferenza dell’adulto ai bisogni del bambino (“Non fare così alla mamma”, “Sei un bravo bambino, non piangere”, “Se piangi papà diventa cattivo”), o rispondere con ostilità (“Ci risiamo!”, “E adesso cosa vuoi ancora?”). Il neonato e il bambino piccolo hanno bisogno di genitori tranquilli, che sanno, o sembrano sapere, cosa fare in ogni circostanza. Devono sapere che possono piangere in caso di difficoltà, perché riceveranno consolazione. Il bambino non può sentirsi sicuro con genitori che appaiono insicuri, spaventati o irritati dal suo pianto (o le tre cose alternativamente). È possibile prendere un bambino in braccio e allo stesso tempo ignorarlo o rifiutarlo emotivamente.
Sono i genitori che devono accudire i figli, non il contrario. Il bambino non deve avere la sensazione: “Non posso piangere perché la mamma diventa triste o si arrabbia”.
Naturalmente, non si tratta di quello che è successo in un caso isolato. Tutti noi genitori abbiamo fatto almeno una cosa giusta e una sbagliata. Tutti abbiamo fatto cento cose giuste e altrettante sbagliate. L’attaccamento non dipende da quello che succede in una o varie situazioni isolate, ma da quello che succede la maggior parte delle volte.
Il bambino che si sente abitualmente accettato e consolato quando piange o è in difficoltà, sviluppa un attaccamento sicuro. In presenza della madre si sente sicuro quanto basta per gattonare, camminare o esplorare, senza perdere di vista la madre. Può allontanarsi perché sa che che potrà sempre tornare. Quando la madre ne va, si spaventa e piange; quando la madre torna, corre verso di lei e vuole stare in braccio, ma subito si tranquillizza e continua a giocare ed esplorare.
Il bambino che si vede costantemente rifiutato impara a evitare nuovi rifiuti tramite la disperata strategia di non chiedere più, così non gli diranno di no. Sviluppa un attaccamento evitante o elusivo. Può apparire falsamente sicuro o indipendente, perché non vuole stare in braccio né essere consolato. Sembra non importargli se i genitori ci sono oppure no, gioca ed esplora da solo senza controllare la madre, piange poco quando rimane solo ma non cerca la madre, addirittura la evita quando torna.
Quando la risposta dei genitori è debole, quando a volte accudiscono il figlio con amore e altre lo rifiutano e lo ignorano, il bambino può arrivare a chiedere attenzione continua, così almeno qualche volta l’avrà. Sviluppa un attaccamento ambivalente o resistente. Si attacca alla madre, esige attenzione costante; quando la madre è presente, a malapena se ne allontana; quando la madre se ne va, piange completamente disperato; quando torna può attaccarsi a lei e impiegare moltissimo tempo a tranquillizzarsi, e a tratti può rifiutarla.
I tipi di attaccamento ambivalente ed evitante sono strategie elaborate dal bambino per trarre il massimo vantaggio da una situazione non ottimale. Ma nei casi più gravi il bambino è incapace di seguire una strategia, e si crea un attaccamento disorganizzato. Molti di questi bambini hanno subìto abusi e maltrattamenti, o sono figli di genitori che a loro volta avevano subìto abusi.