SECONDA parte

Sabotati: come l’orientamento ai coetanei mette a rischio il legame con i genitori.

capitolo Vi

Controvolontà:
perchè i bambini diventano
disobbedienti

Ogni qual volta i genitori di Kirsten, sette anni, avanzavano richieste di collaborazione, ricevevano sconcertati la stessa immediata risposta: “Voi non siete i miei padroni!”. Sean, nove anni, anche lui sempre più recalcitrante, aveva appeso un grosso cartello fuori dalla porta della sua stanza con su scritto “vietato entrare”. La comunicazione dell’adolescente Melanie con i suoi genitori era ridotta a poco più di qualche gesto di sfida: un’espressione svogliata, un’alzata di spalle, o un sorrisetto compiaciuto che diventava sempre più sprezzante mentre suo padre arrabbiato le ordinava senza alcun risultato di “togliersi quel sorrisetto dalla faccia”.


Come abbiamo visto nel capitolo precedente, appena i figli si orientano ai coetanei l’attaccamento si rivolta contro i genitori, che perdono il loro potere. Doppiamente sguarniti, i genitori di Kirsten, Melanie e Sean avevano già il loro bel daffare, ma la storia non finiva lì. Esiste un altro istinto che, se sviato dall’orientamento ai coetanei, crea il caos nella relazione genitori-figli e rende la vita un inferno per qualsiasi adulto che abbia responsabilità di accudimento. Fu ben definito “controvolontà” da un acuto psicologo austriaco, Otto Rank.


La controvolontà è una resistenza automatica e istintiva in risposta alla sensazione di essere stati in qualche modo forzati. Scatta ogni volta che una persona si sente controllata o pressata, costretta a eseguire gli ordini di qualcun altro. Fa la sua apparizione più sensazionale nel secondo anno di vita, i cosiddetti “terribili due anni” (se i bambini di due anni potessero inventare etichette del genere, è probabile che descriverebbero i loro genitori come coloro che stanno attraversando i “terribili trenta”). La controvolontà riappare a oltranza durante l’adolescenza, ma può attivarsi a qualsiasi età, e molti adulti la sperimentano.


All’inizio del ventesimo secolo, Rank aveva già notato che avere a che fare con la controvolontà era una delle sfide più scoraggianti per un genitore. Egli scriveva in un periodo in cui, in linea di massima, gli attaccamenti dei bambini erano ancora allineati agli adulti. Non c’è nulla quindi di anormale nella controvolontà se non che, come spiegherò fra breve, essa è stata esaltata in modo abnorme sotto l’influenza dell’orientamento ai coetanei.


Nessuno ama essere comandato, inclusi naturalmente i bambini, o, sarebbe più corretto dire, soprattutto i bambini. Sebbene noi tutti siamo abbastanza consapevoli di questa risposta istintiva, per averla sperimentata su noi stessi, quando abbiamo a che fare con i più giovani tendiamo in qualche modo a trascurarla. Comprendere la controvolontà potrebbe risparmiare a un genitore tanta confusione e molti conflitti inutili, in modo particolare se si tratta di dare un senso al comportamento e agli atteggiamenti di un figlio orientato ai coetanei.


La controvolontà può manifestarsi in mille modi: può essere il “no” reattivo del bambino piccolo di due-tre anni, il “Tu non sei il mio padrone” del bambino più grandicello, o anche la resistenza quando si va di fretta, la disobbedienza e gli atteggiamenti di sfida. È visibile nel linguaggio del corpo dell’adolescente. La controvolontà si esprime anche attraverso la passività, procrastinando, facendo l’opposto di quello che ci si aspetta, e può sembrare pigrizia o mancanza di motivazione. Può essere comunicata attraverso la negatività, la belligeranza o gli atteggiamenti polemici, e spesso viene interpretata dagli adulti come insolenza. In molti bambini guidati dalla controvolontà, si può osservare una fascinazione per la trasgressione dei tabù e l’adozione di atteggiamenti antisociali. Qualsiasi cosa ci possa sembrare, in realtà la dinamica sottostante è semplice e chiara: la resistenza istintiva a essere forzati.


La semplicità di tale dinamica è in netto contrasto con la moltitudine e la complessità dei problemi che crea, ai genitori, agli insegnanti, e a chiunque abbia a che fare con i bambini. Il fatto stesso che qualcosa sia importante per noi può far sentire i nostri figli poco inclini ad assecondarci. Più esercitiamo una pressione su di loro affinché mangino le verdure, puliscano la loro camera, si lavino i denti, facciano i compiti, si comportino educatamente, o non litighino con i fratelli, meno si sentiranno di farlo. Maggiore è l’insistenza con cui gli proibiamo di mangiare cibi spazzatura, più inclini saranno invece a farlo. Un quattordicenne molto consapevole di sé disse a suo padre: “più mi dici di mangiare la verdura, meno mi va!”. Più siamo chiari nell’esprimere le nostre attese, maggiore sarà la focalizzazione dei bambini sugli atteggiamenti di sfida. Tutto ciò può essere vero anche nelle circostanze più normali e naturali, ossia quando i bambini hanno un buon attaccamento con gli adulti che si prendono cura di loro. Ma se per caso il loro attaccamento con gli adulti di riferimento non è attivo, essi vivranno gli sforzi dei grandi per mantenere l’autorità come un vero e proprio spadroneggiamento. Sviando il naturale attaccamento del bambino, l’orientamento ai coetanei ingigantisce la resistenza oltre ogni limite. L’istinto della controvolontà può davvero sfuggire a ogni controllo.