“Non ne posso più!”, disse la madre di Sarah, stanca dell’incoerenza e imprevedibilità della figlia, “non riesce
a impegnarsi e a portare avanti niente, e noi facciamo di tutto per aiutarla!”. I genitori di Sarah erano disturbati in modo particolare da una
situazione ricorrente: si prodigavano per esaudire alcuni desideri espressi con entusiasmo dalla bambina, ma al primo segno di fallimento o
frustrazione, ella abbandonava tutto. Aveva abbandonato il pattinaggio artistico alla fine della seconda lezione, dopo che i genitori avevano con
pazienza risparmiato i soldi necessari e riorganizzato i propri impegni per accompagnarla. Sarah era anche molto impulsiva, impaziente, e andava
facilmente in collera. Continuava a promettere che sarebbe stata buona, ma spesso non riusciva a mantenere la promessa.
Anche il padre e la madre di Peter erano preoccupati: il loro figlio era cronicamente impaziente e irritabile, a volte diventava piuttosto antipatico con la sorella e con i genitori. “Sembra proprio non rendersi conto”, mi disse suo padre, “che ciò che dice o fa si ripercuote sul resto della famiglia”. Peter era anche polemico e oppositivo. Mancava completamente di aspirazioni a lungo termine e non si appassionava a nulla, fatta eccezione che per i giochini elettronici e i giochi al computer. L’idea di lavoro sembrava non avere significato per lui, che fosse l’impegno a scuola, i compiti a casa o l’aiuto domestico. “Ciò che mi preoccupa maggiormente”, disse il padre, “è che Peter non sembra affatto preoccupato”. Il ragazzo non mostrava alcuna ansia per la propria mancanza di indirizzo e di obiettivi significativi.
In modi diversi, Peter e Sarah mostravano una costellazione analoga di tratti caratteriali. Erano entrambi impulsivi, facevano mostra di sapere come ci si dovesse comportare, ma poi in pratica non agivano in accordo con quello che sapevano. Erano sconsiderati, non pensavano prima di agire, e le loro reazioni erano mutevoli e fluttuanti. Le due coppie di genitori volevano sapere se era il caso di preoccuparsi. Per i genitori di Sarah, la mia risposta fu che probabilmente non c’era motivo di allarme: ella aveva solo quattro anni, quei tratti comportamentali erano tipici dell’età. Se tutto fosse andato per il verso giusto, negli anni che avrebbero seguito lo sviluppo di Sarah avrebbe portato a differenze significative nel suo comportamento e nei suoi atteggiamenti. I genitori di Peter, invece, avevano senz’altro motivo di sentirsi a disagio: egli aveva già quattordici anni e, almeno da questo punto di vista, la sua personalità era rimasta immutata sin da quando era in età prescolare.
Sarah e Peter manifestavano quella che ho denominato sindrome prescolare, con comportamenti che si addicono a bambini in età prescolare. In questo stadio di sviluppo un numero di funzioni psichiche non sono ancora integrate nel bambino; vi è un’assenza di funzionamento integrato che rappresenta un segnale chiaro di immaturità psicologica. Gli unici, naturalmente, ad avere pieno “diritto” – dal punto di vista evolutivo – ad agire come bambini in età prescolare sono appunto i bambini in età prescolare. Nei bambini più grandi, o negli adulti, una tale mancanza di integrazione indica un’immaturità che non è consona all’età.