Jeremy, dodici anni, è chino sulla tastiera con gli occhi fissi sullo schermo del computer; sono le otto di sera
e i compiti per il giorno seguente ben lungi dall’essere finiti, ma il reiterato ammonimento di suo padre: “Finisci i compiti!”, è ignorato. Jeremy è
su internet che scambia messaggi con gli amici: pettegolezzi su chi piace a chi, cercando di capire chi è un amico e chi no, disquisendo su chi ha
detto cosa a chi quel giorno a scuola, stabilendo chi è molto gettonato e chi no. “Non mi scocciare!”, dice rivolgendosi in tono brusco a suo padre,
che per l’ennesima volta è venuto a rammentargli i compiti. “Se avessi fatto il tuo dovere”, replica il padre con la voce scossa dalla frustrazione,
“non sarei qui a scocciarti!”. La battaglia verbale si intensifica, le voci si fanno stridule, e qualche istante dopo Jeremy grida: “Tu non capisci
niente!”, e sbatte la porta.
Il padre è turbato, arrabbiato con Jeremy ma, soprattutto, con se stesso: “Sono esploso di nuovo”, pensa “non riesco a comunicare con mio figlio!”. Lui e sua moglie sono preoccupati per Jeremy: un tempo era un bambino collaborativo e ora è impossibile controllarlo e persino offrirgli un consiglio; la sua attenzione sembra catturata esclusivamente dalla ricerca di contatto con gli amici. La stessa situazione di conflitto domestico si ripete molte volte nell’arco della settimana; genitori e figlio sono a un punto morto e non trovano pensieri o azioni nuove per uscire dall’impasse. I genitori si sentono deboli e impotenti, non hanno mai fatto molto ricorso alle punizioni, ma ora sono sempre più inclini a imporre la disciplina severamente e, quando lo fanno, il figlio è ancor più inasprito e insolente.
Ma fare i genitori deve per forza essere così difficile? Ed è sempre stato così? Le vecchie generazioni hanno spesso lamentato, in passato, il fatto che i giovani fossero meno rispettosi e disciplinati, ma oggi molti genitori sentono intuitivamente che qualcosa non va. I bambini non sono più quelli di cui abbiamo memoria. Appaiono meno propensi a farsi guidare dagli adulti, meno timorosi di finire nei guai; sembrano anche meno innocenti e ingenui, mancando, pare, della meraviglia che con occhi incantati dovrebbe condurli eccitati alla scoperta del mondo, all’esplorazione delle meraviglie della natura o della creatività umana. Molti di loro mostrano di essere sofisticati in modo inappropriato, persino in certo senso logorati, sfiniti, ed esibiscono anzitempo una pseudo-maturità. Si annoiano facilmente quando sono lontani gli uni dagli altri o quando non sono tenuti occupati dalla tecnologia. Il gioco creativo e solitario sembra essere un vestigio del passato. “Da bambina, trascorrevo ore affascinata dalla creta che scavavo in un fossato vicino casa”, racconta una madre di quarantaquattro anni: “Mi piaceva tanto toccarla, modellarla in forme diverse o anche solo impastarla con le mani; eppure, mio figlio di sei anni non riesce a giocare da solo, a meno che non sia al computer, alla play-station o davanti a un video-game”.
Anche i genitori, dal canto loro, sembrano diversi. I nostri genitori erano più sicuri, avevano più fiducia in se stessi e riuscivano ad avere un’influenza maggiore, nel bene o nel male. Oggi molti non riescono a essere genitori con naturalezza.
I genitori di oggi amano i propri figli come hanno sempre fatto i genitori, ma l’amore non sempre raggiunge il bersaglio. Abbiamo tanto da insegnare, ma la capacità di penetrazione della nostra conoscenza è, in qualche modo, diminuita; percepiamo le potenzialità che animano i nostri ragazzi, ma non ci sentiamo capaci di guidarli verso la loro realizzazione. A volte vivono e agiscono come se fossero sedotti da un canto di sirena, lontani da noi che non possiamo udirlo. Temiamo, seppur vagamente, che il mondo sia divenuto un luogo meno sicuro, ma dal quale non abbiamo il potere di difenderli; e il divario che si spalanca fra adulti e bambini a tratti può sembrare incolmabile.
Lottiamo per essere all’altezza dell’immagine cui, secondo noi, un genitore dovrebbe corrispondere e, non raggiungendo i risultati sperati, imploriamo i nostri figli, li persuadiamo con lusinghe, li allettiamo, usiamo premi o punizioni.
Ci ascoltiamo mentre ci rivolgiamo a loro con toni che suonano aspri persino a noi stessi ed estranei alla nostra vera natura; nei momenti di crisi ci sentiamo invadere dalla freddezza, proprio quando desidereremmo fare appello al nostro amore incondizionato. Ci sentiamo feriti come genitori, e rifiutati. Ce la prendiamo con noi stessi per aver fallito nel nostro compito, o con i nostri figli per essere recalcitranti, o con la televisione per averli distratti, o con il sistema scolastico per non essere abbastanza rigido. Quando l’impotenza si fa insostenibile, ripieghiamo su formule autoritarie e semplicistiche in accordo con l’ethos delle soluzioni rapide e del far-da-sé, tipico della nostra era.