CAPITOLO VII

Vantaggi del parto vaginale dopo un cesareo

Dopo un cesareo, è assai probabile che i parti successivi siano a loro volta dei cesarei”. “Dopo due cesarei non è più possibile avere un parto vaginale”. “Si possono fare solo tre cesarei, per questo dopo il terzo viene sempre praticata la legatura delle tube”. “Dopo un cesareo, il parto vaginale è molto pericoloso”. “L’utero si può rompere in presenza di una cicatrice di un precedente cesareo.”


È avvilente vedere contro quanti miti e idee sbagliate deve scontrarsi una donna nella gravidanza successiva a un cesareo. Nonostante le madri che hanno subìto un cesareo riescano solitamente ad intuire che l’intervento è più pericoloso per la loro salute rispetto a un parto naturale, sono molte quelle che si sentono destinate a un successivo cesareo. Di solito, attorno a loro non trovano il sostegno necessario per tentare un parto vaginale oppure, per mancanza di informazioni aggiornate, gli specialisti fanno credere loro che l’opzione del cesareo ripetuto se non addirittura programmato sia più sicura.


Di sicuro, per molti specialisti programmare un cesareo sarà molto più comodo che attendere che la donna inizi il travaglio e vedere come si svolgono gli eventi. Ma ovviamente, gli stessi medici non si esprimono quasi mai in questi termini. Cercheranno piuttosto di convincere la donna con argomenti del tipo “questo bambino è molto grande, ti mancano ancora 3 settimane e hai il bacino stretto” oppure “se inizi il travaglio e non sei vicina a un ospedale correrai un grave pericolo perché il tuo utero si può rompere da un momento all’altro”, o addirittura “perché vuoi aspettare il travaglio se con ogni probabilità dovrai ricorrere a un cesareo? Se lo programmiamo ti garantisco che sarò io stesso a seguirti e acconsentirò che tuo marito sia presente e che i tuoi desideri siano rispettati”, o ancora “siccome non è possibile fare un’induzione e sei già alla quarantesima settimana, dobbiamo farti un cesareo.” Le versioni possono variare notevolmente, ma quasi sempre giungono a una conclusione: se la donna ha già subìto un cesareo, è probabile che ne abbia un altro e, in tal caso, sarà meglio programmarlo per quando sarà comodo a tutti senza attendere che entri in travaglio.


Non vi è dubbio che simili presupposti implichino una mancanza di rispetto nei confronti della donna, una mancanza di fiducia nel suo corpo e, soprattutto, un’offesa verso il bambino che nascerà, che viene addirittura minacciato di non poter scegliere la data della sua nascita.


Inoltre il dato secondo il quale un secondo (o terzo, o quarto…) cesareo sarebbe più sicuro di un parto vaginale dopo un cesareo pregresso è falso. L’idea che dopo un cesareo i parti successivi debbano avvenire a loro volta mediante cesareo (“once a cesarean, always a cesarean1) risale al 1916. Così lo spiegava all’epoca il Dott. Edward Craign. Non era da molti anni che si era riusciti a far sì che alcune donne sopravvivessero all’intervento. Di fatto i cesarei erano ancora interventi con una mortalità pari a un dieci per cento circa. Venivano praticati solo dopo travagli lunghissimi nei quali non si era riusciti a fare in modo che il bambino si posizionasse per uscire e pertanto era lecito pensare che vi fosse realmente un ostacolo nel bacino materno. L’incisione veniva effettuata lungo l’utero e arrivava fino alla parte superiore, il cosiddetto fondo uterino, che è la regione che esercita una forza maggiore durante il parto. La mortalità materna durante i cesarei poteva raggiungere il 30% se la donna aveva subìto molte visite intravaginali durante il travaglio (cosa che predisponeva a gravi infezioni nel post-parto). Anche le rotture uterine erano frequenti, non solo per la posizione della cicatrice, ma anche per la pessima sutura, i materiali che si utilizzavano e le pessime condizioni di asepsia presenti in molti casi. La ferita di solito cicatrizzava male ed era molto più facile che si potesse rompere nel parto successivo.


Negli anni venti, Monroe Kerr si pronunciò in difesa dell’incisione del cesareo sul segmento uterino inferiore. Questa tecnica era già stata proposta negli anni ’80 del XIX secolo, ma Kerr riuscì a far sì che venisse ripresa in esame e grazie a un articolo, pubblicato da Wilson nel 1932, se ne ottenne la diffusione. Questa tecnica implicò un vera e propria rivoluzione ostetrica, poiché presentava numerosi vantaggi per la madre: il segmento inferiore dell’utero ha meno tessuto muscolare ed è molto più sottile, quindi una volta tagliato sanguina meno, facendo sì che le forti emorragie siano assai rare.


Inoltre, la ferita rimane coperta dalla vescica, per cui il sangue non passa nella cavità addominale.


Poco a poco la mortalità del cesareo continuò a decrescere, le donne che avevano subìto un intervento rimanevano di nuovo incinte e si credeva che in questi casi fosse più sicuro ripetere l’intervento. Poi cominciarono a conoscersi casi di donne che, nonostante un cesareo pregresso, nella successiva gravidanza arrivavano all’ospedale all’ultimo momento e non vi era il tempo di praticare il cesareo. Non solo partorivano per via vaginale senza alcun problema, ma era evidente inoltre che il loro recupero era molto più rapido che se fossero state sottoposte a un cesareo. Con l’adozione generalizzata dell’incisione di Pfannenstiel, venne dimostrato che il pericolo di rottura dell’utero era molto minore di quanto si pensasse.


Quindi si cominciò a raccomandare di tentare un parto dopo il cesareo, poiché si verificò che ciò implicava minori rischi rispetto alla programmazione di un intervento per timore di una rottura dell’utero. Venne denominato “parto vaginale dopo un cesareo” (in seguito detto VBAC, acronimo di Vaginal Birth After Cesarean). Sfortunatamente, ancora oggi si continuano a praticare numerosi cesarei ripetuti inutili, sotto la minaccia di una rottura d’utero.