Prologo

di J.M. Bedoya1

Il mio incontro con questo libro è stato curioso e fortunato. Un giorno d’estate, verso le cinque e mezza del pomeriggio, ricevetti una chiamata al cellulare e la voce del mio vecchio amico Enrique mi disse: “Scusa se ti chiamo, è un brutto momento?”. “Sono a 2.000 metri d’altitudine – gli risposi – sto salendo sui Picos de Europa, è un pomeriggio splendido, ai miei piedi si stende la valle di Liébana e spira una brezza assai gradevole. Mi manca quasi il respiro, quindi la tua chiamata è ben gradita perché mi va di concedermi una sosta.”


Due giorni dopo ricevetti via corriere le bozze del libro Il parto cesareo. La lettura mi servì ad alleviare le fitte alle gambe e a ricordare le conversazioni sulla disumanizzazione del parto negli ospedali sia pubblici che privati e sulla necessità di raccontare alle future madri e ai padri, nonché di ricordare agli addetti ai lavori, che la maternità, i parti e l’allevamento dei figli e delle figlie (per abitudine patriarcale si parla sempre di figli), sono esperienze belle e sempre più rare e uniche e che così devono essere vissute e sperimentate da tutti.