Prologo di J.M. Bedoya 1 l mio incontro con questo libro è stato curioso e fortunato. Un giorno d’estate, verso le cinque e mezza del pomeriggio, ricevetti una chiamata al cellulare e la voce del mio vecchio amico Enrique mi disse: “Scusa se ti chiamo, è un brutto momento?”. “Sono a 2.000 metri d’altitudine – gli risposi – sto salendo sui Picos de Europa, è un pomeriggio splendido, ai miei piedi si stende la valle di Liébana e spira una brezza assai gradevole. Mi manca quasi il respiro, quindi la tua chiamata è ben gradita perché mi va di concedermi una sosta.” I Due giorni dopo ricevetti via corriere le bozze del libro La lettura mi servì ad alleviare le fitte alle gambe e a ricordare le conversazioni sulla disumanizzazione del parto negli ospedali sia pubblici che privati e sulla necessità di raccontare alle future madri e ai padri, nonché di ricordare agli addetti ai lavori, che la maternità, i parti e l’allevamento dei figli e delle figlie (per abitudine patriarcale si parla sempre di figli), sono esperienze belle e sempre più rare e uniche e che così devono essere vissute e sperimentate da tutti. Il parto cesareo. Note Docente di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università di Siviglia. 1 Questo libro ce lo ricorda. Fa soprattutto riferimento all’esperienza delle madri che hanno “subìto” un cesareo, ma si può applicare ad ogni tipo di parto. I dieci capitoli rispecchiano l’esperienza di avere un figlio oggi. Sono gradevoli e scritti in un modo chiaro e accessibile a qualsiasi donna, rifuggendo da tecnicismi (ai quali noi addetti ai lavori siamo tanto affezionati e con i quali cerchiamo di nascondere la nostra incapacità di comunicare con le persone normali). È scritto da una madre che ha vissuto l’esperienza di avere tre figli mediante cesareo e che è psichiatra; e da un padre che di professione fa il ginecologo, ma che prima di essere padre già sapeva esprimere con le azioni e le parole la sua umanità nei confronti delle donne che si rivolgevano a lui chiedendogli aiuto proprio nel momento in cui si trovavano maggiormente deboli e disorientate. Penso che la lettura di questo libro le aiuterà. Il primo capitolo ci narra la storia del primo cesareo, fatto per salvare la vita del bambino la cui madre era morta. Attualmente il cesareo si deve fare per evitare possibili danni alla madre e al figlio o ai figli che stanno per nascere. Ma da lì si è passati, nella maggior parte delle occasioni, a effettuarlo per evitare i problemi di data e di ora di chi assiste al parto. Si tratta del cesareo programmato. In Spagna siamo passati, in vent’anni, da una frequenza di dieci cesarei ogni cento parti a quella attuale di ventitré cesarei ogni cento parti. Vale a dire un parto su quattro è in media un cesareo. In altri Paesi è ancora peggio, benché in alcuni – come i Paesi Bassi – non si superino i dieci cesarei ogni cento parti e le loro donne non siano diverse dalle nostre. Il fatto curioso è che in uno stesso Paese se non addirittura in una stessa città, la frequenza varia a seconda dell’ospedale, pubblico o privato, pertanto si giunge alla conclusione che non esistono criteri medici concordati o che, quanto meno, essi sono assai ampi. Dal 15 per cento in su, i motivi per fare un cesareo non sono strettamente medici bensì dipendono dal criterio di ciascun professionista! Le conseguenze dei cesarei vengono descritte in questo libro . 2 Note In Italia - sulla base dei dati raccolti dall’Istat nel biennio 2004-2005 su “Gravidanza, 2 parto, allattamento al seno” nell’ambito dell’indagine multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” - il numero dei parti effettuati mediante taglio cesareo è in costante aumento: 11,2% nel 1980, 27,9% nel 1996, 29,9% nel biennio 1999-2000, 35,2% nel periodo 2004-2005 (con un picco del 45,4% nelle regioni meridionali). Quest’ultimo, oltre ad essere il dato più alto fra i Paesi dell’Unione europea, è di 2 volte superiore a quello raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1985 (pari al 15%) ed è in contrasto con le stime che indicano il rischio di mortalità materna per cesareo da 2 a 4 volte superiore rispetto al parto vaginale (N.d.C.) Perché il cesareo evita danni alla madre e al bambino, ma ne provoca a sua volta, come l’aumento di emorragie, embolie, anemie, infezioni, complicazioni da anestesia e altro, fra le complicazioni che riguardano la madre, così come i problemi del bambino quali l’immaturità polmonare o l’assenza di beneficio per il feto sano rappresentata dal passaggio attraverso il canale del parto. Ma vi sono poi le conseguenze psicologiche che sono più lunghe e che richiedono un periodo di recupero più lento. Il libro le definisce “ferita emotiva” e parla delle domande che le madri si pongono mesi dopo un cesareo. Sono domande che noi addetti ai lavori non ci poniamo, né ci preoccupano, poiché ci limitiamo a dire che “la ferita è a posto e non ha nulla”. È la stessa risposta che diamo dopo un’asportazione dell’utero per piccoli fibromi assolutamente benigni e con scarsi sintomi. Tutto va bene, ma alla donna è rimasta la sensazione di perdita per non avere avuto il parto sognato, una ferita sul ventre o senza il suo utero. Tutto ciò crea dubbi, rabbia o depressione, sensazione di abuso e di violazione del corpo, mutilazione e molteplici domande senza risposta, perché la maggior parte dei sanitari non è in grado di rispondere. Ma il fatto che non sappiamo rispondere non significa che queste domande non abbiano risposta. È sempre più necessario lavorare in collaborazione con altri specialisti, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, che sappiano risolvere questi dubbi. Non è possibile che dopo essere uscita da una sala operatoria o dopo una grave malattia di qualsiasi genere, la persona che ha sofferto tutte queste ferite fisiche e psicologiche se ne vada a casa, prima è meglio è (per il sistema), per essere seguita da un familiare, in genere di sesso femminile, che nutre gli stessi dubbi. Qualcosa non va in questo aspetto della sanità. Sorgono sempre più spesso associazioni e gruppi di sostegno che cercano di supplire a questa mancanza. Ma non basta. La salute è uno stato di benessere fisico e psichico. Il benessere fisico è garantito, in genere, ma manca quello psichico. Non è nemmeno sufficiente creare unità di supporto per le patologie gravi. Non possiamo misurare la gravità in base alle dimensioni dell’intervento o della sua malignità, perché il danno psicologico varia da persona a persona. Ciò che per alcuni è un dramma, per altri non lo è. Ma non siamo noi medici, chirurghi o infermieri i più indicati – per via della nostra formazione o deformazione – nel valutare queste situazioni. Il personale sanitario può intuire che una persona abbia problemi psicologici, ma molto spesso manca l’appoggio di un altro tipo di professionalità, soprattutto nella sanità pubblica, che sia in grado di affrontare simili problemi. Il libro offre alcune indicazioni su come curare la ferita emotiva, ma ritengo che con l’aiuto di una mano esperta, sarà tutto più facile. Il capitolo su è molto significativo. Mi permetto di riportare un caso che ho vissuto in prima persona. Venne inaugurata una nuova e moderna area parto in un grande ospedale, fornita di importanti innovazioni tecnologiche e sistemi di monitoraggio fetale elettronico che inviavano i segnali a un’unità centrale, a distanza, dove si rilevavano tutti i dati. In un’altra modernissima stanza una donna era in travaglio sola! L’ostetrica e il marito erano molto occupati ad osservare la registrazione del monitor fetale presso l’unità elettronica centralizzata, a distanza. Il fallimento dell’ostetricia moderna Tutti siamo molto attenti alla registrazione continua dei dati fetali, alle analisi, alle ultime ecografie, alle flebo sulla schiena e sul braccio, a evitare che la donna si muova, che non faccia rumore, ma non ci preoccupiamo di appoggiarle una mano sulla pancia o di prenderle la mano, perché la nostra missione è l’altra. In cosa ci siamo trasformati? Sono molto belli i riferimenti agli ormoni dell’amore e del parto come l’ossitocina, la prolattina, l’adrenalina, le endorfine e l’importanza del parto come atto sessuale che viene soppresso quando si pratica un cesareo. Sono molto interessanti anche le riflessioni sulla routine ospedaliera, la mancanza di intimità e la spersonalizzazione della donna dal momento in cui arriva all’ospedale, la condotta del personale sanitario, la posizione della donna nel parto, la medicina difensiva e, perché no? gli aspetti economici e la loro relazione con l’aumento dei cesarei. Un punto di vista che noi addetti ai lavori dobbiamo tenere presente è quello delle donne, che la maggior parte delle volte sono in mano agli uomini, senza che la loro opinione o la loro volontà conti qualcosa. L’associazione cerca di farci ricordare e di ottenere l’applicazione in tutte le maternità di tutte le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). El Parto es Nuestro Queste raccomandazioni sono del 2001, ma fa specie la reticenza da parte della maggioranza degli ospedali a metterle in pratica. Si obietta che sono state scritte per paesi in via di sviluppo e non per le nostre “avanzate” maternità, come se esistessero donne di prima e di seconda categoria. Tutte le donne, in tutte le parti del mondo, sono uguali e hanno gli stessi diritti, e le nostre decisioni mediche si devono basare sempre su prove scientifiche e non su abitudini, usi o routine e, soprattutto, mai sulla comodità di chi assiste al parto. Sono dieci princìpi fondamentali che hanno lo scopo di non medicalizzare di norma tutti i parti ed evitare le pratiche di routine, tanto fastidiose per le donne, come la rasatura – reminescenza di quando non c’erano servizi igienici nelle case – il clistere e l’episiotomia, la limitazione dei movimenti e l’obbligo, antifisiologico, di partorire con le gambe alzate – che è una posizione comoda per chi assiste il parto ma innaturale e contraria all’intimità della donna –, l’uso sistematico di flebo di liquido fisiologico per prendere una vena “nel caso servisse”, l’allontanamento del bambino dalla madre non appena nato e tante altre pratiche che si perpetrano senza che nessuno sappia bene il perché. L’OMS e il buon senso li comprendono, il personale sanitario no. Vi è un’altra serie di raccomandazioni circa le cure del parto, del post-parto e le cure al neonato, sulla base delle linee guida dell’iniziativa “Ospedali amici dei bambini” riguardo l’alimentazione infantile. 3 Il quarto capitolo su elimina tutti i tabù che esistono circa il ritardo della montata lattea, l’allontanamento del bambino durante le prime ventiquattro ore dal parto, il tempo di intervallo o l’allattamento a richiesta, fino a che età bisogna allattare il proprio bambino e altri dubbi delle madri ai quali gli specialisti hanno risposto a seconda delle mode o, ancor peggio, in base alla pressione da parte delle case commerciali per vendere un determinato prodotto. La liberazione delle donne non inizia sollevandole dall’allattamento al seno dei propri figli, assolutamente no, e la madre che non allatta al seno si perde quei momenti di intimità e scambio di sguardi che può solo raccontare e descrivere una madre che li ha vissuti e sentiti. L’allattamento dopo un cesareo Ma queste non sono le uniche ragioni, poiché conferisce anche numerosi vantaggi alla salute della madre e del bambino e al suo sviluppo successivo, così come smitizza l’ossessione per il peso del bambino in base alle curve di crescita create, per la maggior parte, da aziende commerciali e con alimentazione a base di latte vaccino “maternizzato”. Si dimentica che la madre produce latte a richiesta, secondo le necessità e secondo l’età del bambino: più fluido all’inizio e più grasso successivamente, ecc. Tutti questi aspetti vengono molto ben trattati in questo libro. A quanti cesarei può sottoporsi una donna? Di sicuro se il primo cesareo è dovuto a un bacino molto piccolo accertato radiologicamente e il peso del bambino successivo è uguale o superiore a quello del precedente, non c’è da aspettarsi che la madre sia in grado di partorire per via vaginale, anche se il cesareo dovrà sempre essere effettuato una volta iniziate le prime contrazioni spontanee. Per i rimanenti casi, un cesareo non è un ostacolo a un parto vaginale, se non compaiono altre complicazioni mediche o ostetriche. Il problema è che sono in molti a pensare che dopo il primo cesareo se ne fa un altro e, approfittando dell’occasione, si legano le tube. Questa scelta deve essere molto meditata perché nessuno conosce quello che accadrà al neonato o il futuro della madre e del padre, e la fecondazione se si desidera un altro figlio, non è sicura al cento per cento. in vitro, Che cos’è una rottura dell’utero? Si può rompere l’utero dopo un cesareo. Il libro pone questa e altre domande alle quali risponde in modo molto semplice ma ben documentato con riferimenti bibliografici. È un buon libro di consultazione scritto da due professionisti che, prima di tutto e soprattutto, sono molto umani e desiderano aiutare le donne che desiderano avere un figlio ma hanno la testa piena di timori e tabù. Lo dovrebbero leggere anche molti specialisti perché, come dice lo slogan, “leggere dà di più”, dà sempre di più. Frama, Cantabria, estate 2005 J.M. Bedoya Note Promossa da OMS, Unicef e dall’Associazione Internazionale dei pediatri, 3 l’iniziativa “Ospedali amici dei bambini” è stata lanciata nel 1992 per assicurare che tutti gli ospedali accolgano nel miglior modo possibile i neonati e che divengano centri di sostegno per l’allattamento al seno. Per diventare ‘Ospedale amico dei Bambini” è necessario aver intrapreso con successo una trasformazione dell’assistenza a mamme e bambini nel proprio punto nascita, applicando i ‘Dieci passi’ per la promozione, la protezione ed il sostegno dell’allattamento materno. L’ospedale si impegna inoltre a non accettare campioni gratuiti o a buon mercato di surrogati del latte materno, biberon o tettarelle. Il percorso per diventare Ospedale Amico dei Bambini richiede la conquista da parte di tutto il personale di una mentalità che pone al centro della propria attenzione la coppia mamma-bambino, i padri, la famiglia intorno a loro, nel segno della concreta applicazione dei diritti dell’infanzia promossi dall’UNICEF. Dal lancio dell’iniziativa a oggi sono più di 19mila ospedali in 140 paesi in via di sviluppo e industrializzati ad aver ottenuto il riconoscimento di “Ospedale Amico dei Bambini”. Nei paesi dove gli ospedali sono stati riconosciuti è aumentato il numero di donne che allattano al seno ed è migliorato lo stato di salute dell’infanzia. Per maggiori informazioni: http://www. unicef.it/fl ex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/216 (N.d.C.).