Cara Elisabetta, aver sentito che lei ha partorito in casa mi fa sentire meno “pazza” e “incosciente”. Ho partorito in casa tre volte e l’ultima in acqua, solo che questa nostra scelta viene giudicata da tutti, anche dalle persone più care, una scelta da irresponsabili. Io sono invece fermamente convinta che noi donne dobbiamo riappropriarci del parto, essere meno dipendenti dai luoghi comuni, dai medici. Partorire è l’esperienza più bella che una donna può fare e vorrei veramente gridarlo al mondo.
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Quando si parla di parto in casa la domanda più frequente è “ma è sicuro?”. Considerate che il 90% della popolazione che attualmente vive sulla Terra è nata in casa. Ma questa è solo una curiosità. In Italia, Paese del mondo occidentale che detiene il record di cesarei, questa opzione rappresenta circa lo 0,1% dei casi, pari a 1.000-1.500 parti in casa all’anno, su un totale di oltre 500 mila1. Una cifra irrisoria, anche se negli ultimi tempi c’è stata una lieve inversione di tendenza. Chi sceglie questa opzione ha in genere tra i 30 e i 40 anni, una cultura medio-superiore, è pluripara, con una precedente esperienza ospedaliera non troppo felice. Il primato italiano spetta alle Province autonome di Trento e Bolzano, che rispettivamente con lo 0,3 e lo 0,6% hanno superato l’Emilia Romagna, fino a un anno fa la regione con il più alto tasso di parti in casa, sceso dallo 0,8 nel 2004 allo 0,2 nel 2009, almeno secondo i dati più recenti2. È interessante il caso dell’Inghilterra, dove la percentuale è salita dal 2 al 2,85%. Ma non è un caso: quando entrano in gioco gli organismi statali, le cose cambiano. Il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) ha chiesto al governo e al servizio sanitario di attrezzarsi per offrire a tutte le donne questa alternativa al parto ospedaliero e di contare sulla costante e adeguata assistenza di un’ostetrica. Una raccomandazione lanciata anche per contenere la piaga dei cesarei ingiustificati, il cui tasso in alcuni ospedali inglesi ha raggiunto il 34%. Ovviamente il parto in casa viene accuratamente selezionato3. “Le condizioni – spiega Marta Campiotti – sono basate su criteri oggettivi: la donna deve essere sana, avere una gravidanza fisiologica, non deve esserci il diabete, l’emoglobina deve essere pari o superiore a 9,5, il bambino deve essere a termine (tra la 37° e la 42° settimana), non essere podalico, il suo peso non deve essere inferiore ai 2,6 chilogrammi e non superiore ai 4,2-4,5 chilogrammi, bisogna valutare anche il bacino della mamma. La gravidanza deve essere seguita dall’ostetrica almeno dalla seconda metà. L’ospedale deve essere a 30-40 minuti di distanza, anche se ciò che conta è quando si decide di trasferire la donna. La cosa importante è che l’ostetrica riconosca il momento, e non tergiversi. Per noi è importante essere in due, il travaglio può durare molte ore, può subentrare la stanchezza, bisogna gestire la donna e il bambino, e la placenta”. In ogni caso, “non sempre un problema porta al trasferimento in ospedale”, spiega Verena Schmid. “L’ostetrica valuta se ci sono altre risorse che possono essere attivate e dovrebbe comunque sempre coinvolgere la donna nella scelta”.