capitolo xviii

Uscire dal vicolo cieco

Oggi è ormai evidente la necessità di cambiare radicalmente il nostro modo di intendere l’agricoltura e l’allevamento. Abbiamo delle soluzioni disponibili. Allo stesso modo, almeno in teoria, sarebbe possibile ridurre l’utilizzo di combustibili fossili e limitare, prima che sia troppo tardi, le emissioni di gas-serra, con le loro conseguenze sul clima.


L’Homo sapiens che attualmente domina il pianeta è dotato di una intelligenza tale da essere in grado di formulare i problemi più complessi ed elaborarne le soluzioni. Ma, allo stesso tempo, si dimostra incapace di riconoscere quali siano le vere priorità e di trasformare certe idee in azioni concrete. Ecco il motivo per cui siamo entrati in un vicolo cieco.

10.000 anni fa

Il cosiddetto Homo sapiens si è cacciato in questo vero e proprio cul de sac circa 10.000 anni fa, con l’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento. La cosiddetta “rivoluzione neolitica” si è diffusa a partire da un piccolo numero di popolazioni all’avanguardia che abitavano il Medio Oriente, il sud-est asiatico, la Cina centrale, l’America centrale e le Ande. A partire da allora, la strategia primaria di sopravvivenza di tutti i gruppi umani è stata quella di dominare la Natura. Il dominio sulla Natura – che implica il concetto di proprietà – divenne una delle principali cause di conflitto. La guerra divenne un aspetto comune delle relazioni fra le popolazioni, che svilupparono una tendenza al predominio e persino allo sterminio reciproci e, da allora, accrescere il potenziale umano di aggressività divenne un vantaggio evolutivo.


È stato anche a questo punto della storia dell’umanità che i nostri antenati furono in grado di comprendere meglio i meccanismi della riproduzione umana. L’osservazione degli animali domestici ebbe un effetto illuminante sul ruolo esercitato dai rapporti sessuali, e quindi sul ruolo maschile. La sessualità divenne allora un processo organizzato e controllato da diversi ordinamenti di tipo matrimoniale e da una grande varietà di rituali, come ad esempio le mutilazioni genitali. A partire da quest’epoca tutti i vari episodi della vita sessuale umana rientrano sotto il controllo dell’ambiente culturale, e questo è anche il caso del parto e della nascita.


La trasmissione di tradizioni è un modo potente di esercitare un controllo sul processo del parto e particolarmente sulla fase che va dalla nascita del bambino all’espulsione della placenta. Facciamo ancora una volta riferimento alla credenza presente in molte culture secondo cui il colostro è contaminato o pericoloso – per meglio dire, una sostanza che è meglio spremere e gettare via. Un simile atteggiamento nei confronti del colostro implica che subito dopo il parto il bambino si trovi fra le braccia di una persona che non è sua madre. Questo ha dato origine al diffuso rituale del taglio precoce del cordone. Non è possibile stilare una lista completa di tutti rituali che interferiscono con la relazione madre-neonato, come non lo è elencare tutte le credenze volte a rinforzare gli atteggiamenti comuni nei confronti del colostro. È il caso, ad esempio, di una convinzione (diffusa fra vari gruppi etnici dell’Africa Occidentale) secondo la quale, per proteggere il neonato dagli spiriti maligni che potrebbero entrare in lui, la madre non dovrebbe guardarlo negli occhi per tutto il primo giorno di vita. Quali sarebbero i vantaggi evolutivi legati a questa moltitudine di rituali e superstizioni, tutti volti a contrastare l’istinto protettivo materno, proprio nel breve lasso di tempo considerato oggi critico per lo sviluppo della capacità di amare?


Nel contesto scientifico attuale, ci viene spontaneo formulare la domanda in questo modo, perché iniziamo a disporre di possibili risposte. Sin dall’epoca in cui la strategia fondamentale di sopravvivenza di tutti i gruppi umani era quella di dominare la Natura e gli altri gruppi, è sempre stato vantaggioso crescere uomini più aggressivi e capaci di distruggere la vita. Ovvero, era conveniente ridurre la capacità di amare, compresa quella di amare la Natura, cioè di rispettare la Madre Terra. È comprensibile che, a partire dall’inizio della “rivoluzione neolitica”, le società umane che si sono affermate siano state quelle che disponevano delle credenze e dei riti più appropriati circa tutto ciò che ruota intorno alla nascita. Questa nostra interpretazione sembra trovare conferma nei dati provenienti da studi effettuati su alcuni rari popoli primitivi, prima della loro definitiva estinzione, popoli che non conoscono l’agricoltura e che quindi dispongono di altre strategie di sopravvivenza. Queste consistono essenzialmente nel vivere in perfetta armonia con l’ecosistema circostante, per cui la priorità all’interno di queste popolazioni non è quella di sviluppare il potenziale umano di aggressività. Questo è ad esempio il caso dei !Kung San, popolo pre-agricolo dell’Africa: quando il parto era vicino, la donna era solita allontanarsi di poche centinaia di metri finché trovava un luogo appartato, vi creava un morbido letto di foglie e lì, da sola, partoriva il proprio bambino.


Da interi millenni i gruppi umani si sono selezionati in base al loro potenziale aggressivo: noi tutti siamo il prodotto di questa selezione. Questo ci spiega perché siamo incapaci di interpretare quelle che sono evidenti alterazioni della capacità di amare, e di agire di conseguenza. Ecco perché è così difficile riuscire a trarci fuori dal vicolo cieco.