capitolo xi

Quando lui piange troppo

Caro Andrea,

il tuo Federico, per il momento, ha un linguaggio molto semplice, potremmo definirlo “binario” (come quello dei computer), on-off, o tace o piange, o è acceso o è spento. Insomma, pochissimi grigi, molto bianco o nero. Nel primo anno il pianto è la modalità più efficace per chiamare i genitori e segnalare un disagio; lo scopo principale è ristabilire un “contatto”. Federico piange quando ha fame, ma anche quando ha caldo o freddo, quando ha aria nella pancia e fatica a scaricare, quando si annoia, quando ha sonno e non riesce ad addormentarsi, quando vuole vedervi e annusarvi, quando ha bisogno di dondolare come avveniva nella pancia, quando c’è troppo silenzio e si sente abbandonato, quando ha paura di cadere o non capisce cosa lo circonda, quando c’è troppa confusione o quando ce n’è troppo poca, … Federico può piangere per mille altri motivi, neppure lui li conosce tutti.

Quindi il pianto non è sempre fame e non è sempre dolore. Un bambino perfettamente sano e ottimamente alimentato piange ugualmente per manifestare il suo disagio e per chiedere la presenza e il contatto di chi può rassicurarlo e consolarlo. Per gestire pianti frequenti e poco comprensibili non è possibile fare altro che “tentativi ed errori”; provare con le soluzioni più semplici e probabili e, in caso di insuccesso, cambiare strategia e inventarsi altre risposte. Farlo succhiare al seno è sicuramente il primo e più logico tentativo, oltre a sedare la fame il seno è un formidabile calmante. In alcuni momenti però anche questo non è sufficiente e il bambino resta nervoso e insofferente: è pietoso vederlo inconsolabile attaccarsi e staccarsi dal seno. In queste situazioni è normale che un genitore si agiti e non sappia cosa fare; si viene assaliti dal panico che possa esserci un problema serio, ci si sente frustrati per non riuscire a risolvere il problema e dare un po’ di pace al piccolo.