terza parte - capitolo ix
Legame e percezione
Autolegame attraverso la percezione corporea
Grazie all’esplorazione delle percezioni corporee raccogliamo importanti informazioni sul vissuto soggettivo della madre di fronte al pianto e all’irrequietezza del bambino. Da ciò che ci racconta veniamo a sapere quali reazioni si scatenano nel suo corpo in caso di un comportamento problematico, come quando per ore piange o si lamenta. Sente agitazione e irrigidimento, trattiene il respiro quando il bambino piange, percepisce un groppo in gola o una stretta al cuore?
L’analisi delle sensazioni corporee permette di verificare se l’organismo della madre si trova prevalentemente in uno stato di stress o, viceversa, di apertura, come ben illustra il seguente esempio:
Helga si è messa comoda a terra sul tappeto nell’ambulatorio. Suo figlio Henrik di quattro settimane è disteso sulla sua pancia, mentre lei con un cuscino dietro la schiena è appoggiata alla parete. Il bambino è irrequieto e Helga teme che stia per iniziare a piangere, come fa sempre non appena si siede. La invito a distogliere l’attenzione da lui per spostarla per un attimo sul suo corpo, illuminandolo ed esplorandolo come se avesse in mano una torcia. Cosa sente? Quali parti del corpo percepisce bene e quali risultano lontane e inaccessibili? Dove sente calore e dove, invece, freddo? La incoraggio a esprimersi di getto così come le viene, senza rifletterci su.
All’inizio, le risulta difficile concentrarsi sul suo corpo e apre più volte gli occhi, per controllare che con Henrik sia tutto a posto. Ben presto però inizia a descrivere le sue sensazioni corporee: “Adesso posso sentire quanto il mio corpo è contratto. Soprattutto le spalle, è come se fossero sollevate fino alle orecchie. Sento una sgradevole oppressione al petto, come se mancasse spazio.
È proprio stretto, troppo stretto. Respiro appena, con Henrik appoggiato al mio ventre, come se fossi cauta e “diffidente”. Mi rendo adesso conto di quanto sono all’erta.” Dopo questa condivisione Helga si calma, sospira una volta profondamente e il suo corpo si rilassa. Adesso sembra più abbandonata sul cuscino. Anche Henrik sembra più morbido, apre gli occhi e le mani, che prima teneva chiuse a pugnetto. “Adesso sento un piacevole calore, come un liquido caldo che da qui (indica l’ombelico) si diffonde fino alle braccia. Nel petto si è creato spazio e percepisco più chiaramente la presenza di Henrik sul mio ventre. Mi sembra tenero e coccoloso.”
A questo punto le chiedo se conosce già quello stato sgradevole, che ha appena descritto, dalle situazioni che vive quotidianamente con Henrik. “Sì, credo di ritrovarmi così tutto il tempo. A ogni istante Henrik potrebbe mettersi a piangere, e ogni volta che piange mi sento impotente e disperata. Perciò cammino per casa in punta di piedi e sto attenta a non fare alcun rumore o movimento sbagliato, per evitare che tutto ricominci da capo. In un certo senso cerco di tenerlo sempre di buon umore.”
Quando i genitori vivono una situazione difficile con il bambino, non è detto che si accorgano di quello che sentono nel corpo. L’osservazione clinica di genitori e neonati nel bel mezzo di una crisi indica che spesso proprio in quei momenti non si rendono conto del loro stato. A causa dell’attivazione del sistema nervoso simpatico la madre è occupata soltanto a difendersi dalla minaccia rappresentata dal pianto del bambino. Ripensiamo al castello sotto assedio e a come tutte le forze sono concentrate verso il nemico accampato fuori dalle mura. Il fatto che tutti si aspettino un attacco da un momento all’altro genera una tensione cronica, che indebolisce le risorse interne. Tutto ruota solo attorno alla minaccia rappresentata delle truppe nemiche vicino alla fortificazione, e la sensazione di pericolo incombente impedisce il normale svolgimento della vita quotidiana, con il suo giorno di mercato e le sue feste.
La vita nel castello è ridotta al lumicino. La madre del nostro esempio si trova in una situazione paragonabile: si aspetta una catastrofe da un momento all’altro e ha paura di sentirsi impotente e sopraffatta dal panico. Anche se la situazione tanto temuta non si è ancora presentata, il suo organismo si comporta come se il bambino stesse già piangendo (o il nemico avesse effettivamente sferrato l’attacco). Il suo cervello rettiliano lavora in modalità sopravvivenza. Per paura di perdere il controllo della situazione, la madre fa attenzione a ogni manifestazione del neonato.
È all’erta, completamente concentrata sul bambino. Esattamente come nel castello sotto assedio tutto ruota attorno al nemico, in lei tutta la vita ruota soltanto attorno al bambino. Letteralmente “fuori di sé”, di conseguenza non è quasi più a contatto con il flusso delle sue sensazioni corporee. All’inizio della consultazione i genitori spesso incontrano grandi difficoltà a condividere come si sentono, cosa percepiscono nel corpo, se notano delle tensioni. È sconcertante, considerato l’enorme carico cui sono sottoposti nelle situazioni di crisi del primo periodo dopo la nascita. Invitarli a concentrarsi sul proprio corpo è un intervento paradosso, dato che è proprio il contrario della reazione naturale in una situazione di paura e pericolo, ma permette di riconnettersi al flusso di informazioni corporee.
Helga, per esempio, non appena inizia a rendersi conto di quanto sia contratta e si trattenga mentre tiene il bambino in braccio, improvvisamente percepisce cosa le succede nel corpo quando il bambino si mette a piangere. È affascinante osservare come in pochi istanti, grazie alla percezione del loro corpo, i genitori si sentano rassicurati e ritrovino calma e lucidità. Come si spiega tutto ciò? Come mai l’autolegame ha questo effetto potente? Come accade che una madre, che da ore tiene in braccio il figlio disperata, di colpo si rilassa e torna e essere centrata solo perché è di nuovo in contatto con il suo corpo?