Mai ci si confronta così rapidamente con la paura di morire, con ferite profonde, con la delusione, o viceversa la gioia, amorosa come nel lavoro terapeutico con genitori e neonati. Un consulente in PSE entra subito a contatto con tutti questi temi fondamentali: le ferite dovute al tradimento della fiducia originaria, la mancanza d’amore, il dolore dopo una nascita traumatica, ma anche la ritrovata sicurezza nelle braccia di una persona amorevole. Per non essere travolto dal vortice impetuoso delle emozioni e perdere l’orientamento, deve essere in grado di restare connesso al flusso di informazioni del suo corpo.
Anche quando le modalità d’intervento finora presentate non vengono applicate in un contesto psicoterapeutico classico, ma in un reparto maternità o a domicilio come assistenza post partum o all’allattamento, chi utilizza il PSE ha bisogno di uno spiccato senso di autovalutazione per esporsi agli intensi processi emozionali di genitori e neonato.
La competenza per accompagnare adeguatamente i complessi processi emozionali delle madri, dei padri e dei bambini si acquisisce unicamente attraverso un processo personale continuo di psicoterapia (corporea) durante la formazione.
Ciò permette di andare alla radice delle dinamiche legate allo stress e al legame e di scioglierle piano piano. Pertanto ritengo che i futuri consulenti per genitori e bambini debbano conoscere quello che hanno vissuto loro stessi durante la gravidanza e alla nascita, per potersi immedesimare meglio nella paura e nello stato di emergenza del neonato, tanto più se anche la loro disponibilità al contatto è stata compromessa a causa di esperienze traumatiche vissute nel periodo perinatale.
Durante le nostre formazioni sperimentiamo di continuo come le persone siano in grado di rispondere con molta più empatia ai processi dei neonati e dei genitori dopo aver partecipato a un seminario esperienziale incentrato sul vissuto della propria nascita, con sedute regressive di autocoscienza.
Sono fermamente convinto che una conoscenza prevalentemente intellettuale delle conseguenze di esperienze traumatiche di legame sia limitata tanto quanto una esclusivamente esperienziale basata sull’autoanalisi. Ritengo che, per una formazione adeguata delle persone che si dedicheranno alle consulenze post partum e in situazioni di crisi per genitori e neonati, l’ideale sia una combinazione di formazione teorica di base e percorso personale di terapia personale. Inoltre, mi sembra imprescindibile, dato che ci si occupa di stadi preverbali dello sviluppo, che comprenda anche uno studio degli approcci psicoterapeutici attinenti, tra cui la corrente di psicoterapia corporea prenatale orientata al legame e la psicologia del profondo.
Entrambi, infatti, considerano il corpo la via di accesso più importante per la rielaborazione e la risoluzione della memoria rimossa di esperienze di legame carenti e traumatiche. In un certo senso, un consulente deve avere almeno le capacità che sarebbero auspicabili in genitori sufficientemente buoni, tra cui senz’altro un’ottima capacità di percezione e rispecchiamento. Deve inoltre lasciarsi toccare dalle emozioni di genitori e neonato, senza tuttavia lasciarsi travolgere o perdersi. Pertanto, il suo talento dev’essere quello di restare lucido anche nei frangenti più terribili, se non drammatici. Soprattutto in caso di terapia per genitori e neonato orientata ai processi, è fondamentale che sappia distinguere dentro di sé i processi di rispecchiamento e risonanza rilevanti per il cliente dalle proprie proiezioni, che invece ne limitano la capacità di relazione.
Abbiamo notato che, spesso, chi inizia la formazione in Pronto Soccorso Emozionale ha enormi pretese di prestazione e perfezione, che di solito
disturbano la pratica professionale. Anche per il consulente vale quanto abbiamo già espresso in merito ai genitori: è essenziale non cercare di
essere perfetti! Reputo che la tendenza al perfezionismo sia uno degli ostacoli maggiori per la qualità del lavoro del terapeuta. Molti genitori si
sentono sollevati se si accorgono che anche il consulente non sa che pesci pigliare, non coglie subito il linguaggio non verbale del neonato o mostra
le sue emozioni durante la sessione. Di fatto, l’efficacia del consulente diminuisce proprio se non accetta le sue debolezze e si svaluta per le
paure, le insicurezze e i dubbi che ha. Diventa poco credibile, anzi rasenta il ridicolo, non se sbaglia, ma unicamente se cerca di nascondere i suoi
errori e fa di tutto per tenere in piedi la facciata della perfezione.