prima parte - capitolo iii Fenomenologia delle crisi di pianto del neonato difficile immedesimarsi nello stato psichico e fisico in cui si trova un neonato che piange tanto, se non si è provato niente di paragonabile. Certo, la maggior parte di persone può avere una vaga idea di cosa debba significare per una madre, ma non è facile figurarsi esattamente che carico di stress comporti per lei stargli accanto quando piange per due, tre o più ore ogni giorno e, anche quando non piange, non è felice e soddisfatto, non sorride quando lo guarda né si accoccola nelle sue braccia. Anche se questi sintomi inizialmente sono stati osservati nei neonati che piangono eccessivamente, si ritrovano anche in caso di disturbi del sonno o dell’alimentazione. Il comune denominatore di queste diverse situazioni anomale è la perdita della reciproca sincronizzazione tra genitori e neonato nell’espressione corporea, emozionale e comportamentale. In questo capitolo verranno presentati aspetti universali e comuni alle varie forme di disturbo della prima relazione tra genitori e neonati È 15 , proprio per evidenziarne le similitudini e per illustrare cosa sia una crisi post partum. Ciò rientra pienamente nell’approccio del Pronto Soccorso Emozionale, in cui sintomi apparentemente diversi vengono ricondotti a principi di funzionamento comuni. Il PSE prevede infatti un processo di ricerca, che tende a portare dalla complessità alla semplicità 16 , ovvero a rendere semplice ciò che apparentemente potrebbe apparire complesso. Successivamente verranno esposti, passo per passo, i presupposti funzionali del fenomeno di crisi. Note Una sintesi completa della fenomenologia nei genitori in caso di pianto eccessivo del neonato si trova in Papousek et al. (2004). 15 Questo procedere ha le sue basi nel funzionalismo energetico. Vedi Reich (1984); Diederichs (2000). 16 Sintomatologia delle crisi dei genitori In tutti i casi di disturbo precoce della regolazione e del legame si osserva un vero e proprio fuoco d’artificio di sensazioni sgradevoli. La perdita della connessione emozionale tra genitori e bambino sfocia in stress e disagio. Ai genitori risulta particolarmente difficile non riuscire a stare accanto al figlio che piange tanto e, infatti, si sentono impotenti, disorientati e disperati. Quelli che pretendono da se stessi la perfezione e grandi prestazioni sono molti critici verso il loro comportamento con il bambino. Tendono ad essere delusi da se stessi, hanno spesso la sensazione di aver fallito e aver disatteso le proprie aspettative. Specialmente in caso di personalità narcisistica 17 , c’è il rischio che la grande delusione sfoci in reazioni aggressive piene di rabbia e odio nei confronti del bambino. In tutti gli anni di accompagnamento di genitori e neonati nei momenti di crisi non ho incontrato neanche una madre o un padre che non abbiano avuto, nei momenti di maggiore difficoltà, fantasie distruttive verso il bambino. In generale, durante la crisi si nota un’eccessiva tensione di tutti i muscoli e i tessuti del corpo. Spesso, in caso di un attacco di pianto prolungato, le tensioni dolorose si manifestano soprattutto alla schiena, alle spalle e alla nuca. Note Johnson (2000); Thielen (2002). 17 La respirazione diventa superficiale, e la sensazione soggettiva è di non poter respirare correttamente. Molte madri, per descrivere ciò che provano, dicono di avere come una lastra di metallo nel petto o un senso di oppressione al cuore (mi si stringe il cuore). Dal punto di vista psicoterapeutico, la tensione di muscoli e tessuti aumenta di pari passo con la paura. La maggior parte delle madri trova sollievo muovendosi molto quando il bambino piange agitato. L’osservazione clinica mostra una forte correlazione tra l’indebolimento del legame e l’aumento dell’attività motoria. Ciò non sorprende, visto che l’attività muscolare è una delle poche possibilità che abbiamo di scaricare l’eccesso di energia, che altrimenti si manifesterebbe sotto forma di paura e malessere. Si tratta dell’energia che fisiologicamente viene resa disponibile per nutrire il legame. Quindi il forte bisogno di muoversi, come per esempio camminare ore con il bambino in braccio, va visto anche come una strategia per proteggersi dalla paura, e non solo per calmare il neonato come si reputa comunemente. Durante una crisi postnatale la maggior parte dei genitori tende a dare eccessiva attenzione al bambino, come se - letteralmente “fuori di sé”, o “fuori di testa” - fossero pressoché incapaci di concentrarsi sul loro corpo e ascoltarsi. Si trovano in uno stato cronico di allerta, con il cervello in uno stato di continua tensione, detta ipervigilanza 18 . I genitori di un bambino che piange tanto lo osservano incessantemente, ventiquattro ore al giorno 19 , per non essere colti alla sprovvista se la situazione dovesse nuovamente precipitare e lui rimettersi a piangere. Spesso basta un colpettino di tosse a metterli in allarme. Il fatto di aspettarsi continuamente una catastrofe non solo richiede molta energia, ma spesso fa sì che si dimentichino di avere anche loro un corpo bisognoso di cura. Se, all’inizio della sessione, chiediamo come si sentono e come stanno nel loro corpo, spesso rispondono alzando le spalle perplessi, o ribattono ironicamente: “Di che corpo sta parlando?”. Tutti i genitori che da tempo sono in crisi per i pianti del figlio parlano di senso di estraniamento nei suoi riguardi. Note Van der Kolk (2000). 18 Sears (1998). 19 Oggettivamente parlando, la loro sensibilità per le necessità e le emozioni del bambino quando piange agitato è davvero molto ridotta. Lo stress in cui si trova l’intero organismo riduce drasticamente la loro disponibilità al legame, e la continua tensione corporea impedisce loro di aprirsi per cogliere i segnali del bambino. Molti genitori descrivono questo stato spiegando che è come se loro e il bambino si trovassero su due pianeti differenti, le cui orbite magari a volte si incrociano, ma non si incontrano mai veramente. Quest’immagine corrisponde molto bene alla realtà: per quanto si sforzino, i genitori non riescono a trovare il ponte emozionale con il figlio, quel filo che li unisce. Uno strano vuoto avvolge la relazione, come se mancasse il cuore. A questo punto desidero segnalare un altro aspetto, che quasi sempre va di pari passo: i genitori di bambini che piangono tanto hanno perso la rotta! Come se fossero privi di navigatore, immersi nella nebbia, non riescono a distinguere più ciò che accade al bambino né le sue richieste di relazione. Molti genitori compensano la perdita di orientamento interno cambiando continuamente strategia per calmare il bambino: prima lo portano a pancia in giù sul braccio, poi provano per qualche giorno il massaggio per il neonato, infine sono fermamente convinti che alcune modifiche della dieta della madre porteranno alla calma agognata. Visti dal di fuori, i loro sforzi ricordano il goffo procedere a tentoni nel buio alla ricerca dell’interruttore salvavita del contatore dopo che è saltata la corrente. Con una differenza fondamentale: chi è rimasto senza luce sa che c’è il contatore, mentre i genitori disorientati non sanno neppure cosa stanno cercando e avanzano alla cieca, per tentativi. La perdita di orientamento è sempre accompagnata da un’incapacità ad agire. Di fronte al pianto del bambino, il corpo libera una gran quantità di energia per risolvere il problema. La capacità di reagire a situazioni di pericolo è innata. Ma cosa fare se, a causa della mancanza di una rotta interna, quest’energia non viene usata e i genitori sono incapaci di passare all’azione? Per loro è insopportabile e preferiscono di gran lunga lanciarsi in qualunque attività piuttosto che non fare niente. In tal modo, cercano di contenere la grande agitazione e, quindi, di ridurre paura, rabbia e altre emozioni sgradevoli.