“Chissà perché,” si arrovellava Jonathan “la cosa più difficile del mondo è convincere un uccello che egli è libero? E che può dimostrarlo a sé stesso, solo che ci metta un po’ di buona volontà? La libertà basta solo esercitarla.Ma perché? Perché dev’essere tanto difficile?”1
Nella società narcisistica, basata sul controllo e sul distacco, si stabilisce una scala di valori in cui solo ciò che è conforme alle aspettative è un bisogno legittimo, mentre ogni altro bisogno, emozione o richiesta è ritenuta ingiustificata, irrazionale, futile, provocatoria, oppositiva, manipolatoria.
A fronte dei tanti bisogni negati, all’adulto come al bambino, vengono proposti altrettanti surrogati per compensare ciò che nel profondo sentiamo mancare. I metodi di controllo e di condizionamento proposti dalla pedagogia nera si ammantano di alibi e di seducenti definizioni.
Ad esempio, mettiamo che si dicesse ai genitori: “Quando piange disperato, lasciatelo a urlare al soffitto e affogare nelle sue lacrime, finché sarà così sfinito da staccare la spina emotiva e rifugiarsi nel sonno; se lo fate sistematicamente a un certo punto imparerà, quando ha bisogno di voi, a non chiamarvi e a tuffarsi nell’incoscienza del sonno anche prima di piangere”. Come si sentirebbero i genitori? Ce la farebbero a fare una cosa simile? Approverebbero questo progetto educativo? C’è da dubitarne. E allora il consiglio viene confezionato in una bella carta colorata, come se dormire da solo fosse una sua esigenza, e lasciarlo piangere fosse alla fine per il suo bene… anzi, tanto per sicurezza si rincara la dose sottintendendo che se il consiglio non verrà seguito si rovinerà l’evoluzione psicologica del bambino. Nessun genitore seguirebbe certe regole senza cuore se non fosse stato convinto che tutto questo è per il bene del bambino, e che non farlo gli causerebbe a lungo andare danni e sofferenze maggiori della momentanea reazione di protesta e disperazione generata dall’imposizione.
Ed ecco che allora tutto ciò che al bambino viene imposto, spesso contro ogni suo bisogno naturale, viene ridefinito come “bisogno” del bambino stesso. Il bambino necessiterebbe proprio di quelle restrizioni e coercizioni, solo che non lo sa! Nasce così tutta una nuova costellazione di bisogni inventati:
- il bisogno di indipendenza (per avallare le precoci separazioni e scoraggiare l’intimità e il legame affettuoso fra mamma e bambino);
- il bisogno di cimentarsi e mettersi alla prova (per legittimare l’intenzionale somministrazione di frustrazioni, il negare conforto e lasciare il bambino da solo con le sue angosce e le sue difficoltà);
- il bisogno di sfogarsi piangendo (che giustifica il non confortare il bambino quando piange);
- il bisogno di solitudine “indisturbata” (per promuovere le lunghe notti di sonno solitario);
- il bisogno di routine (per giustificare l’imposizione al bambino di ritmi funzionali alla vita degli adulti);
- il bisogno di socializzare (per assolvere i genitori nel distacco dal figlio e nel suo passaggio in altre braccia o nel gruppo dei pari al nido e alla materna);
- il bisogno di stimolazioni (che sostituisce la semplice presenza degli adulti e l’accoglimento del bambino nel loro mondo con una serie di attività programmate per sollecitare i suoi sensi e la sua mente: attività che spesso comportano l’utilizzo di prodotti e servizi).
La parola bisogno, così usata a sproposito, ridefinisce gli interventi (o assenza di interventi) dei genitori come un gesto altruistico, fatto proprio per andare incontro alle necessità del bambino. Istintivamente i genitori oppongono resistenza a metodi che generano stress e infelicità, come lasciare il bambino da solo a piangere, non rispondere ai suoi richiami, limitare il contatto e la tenerezza. Ma ecco che la cultura del distacco mette in campo una serie di strumenti retorici, banalizzando, allarmando, colpevolizzando, vantando inesistenti conferme scientifiche alla bontà dei suoi consigli, e ribadendo che affinché il bambino si sviluppi correttamente occorre vincere la sua resistenza al cambiamento, proprio come i genitori stessi dovranno vincere il loro istinto di prenderlo in braccio e confortarlo, facendosi forza al pensiero dei benefici futuri.