Eppure credo che farò fatica a convincere gli amanti dell’aggressività.Hanno sofferto per loro conto e pensano: “La vita è stata dura con me.Ho ricevuto dei duri colpi. E ciò mi ha formato. E allora gli stessi colpi formino i miei bambini”1.
CAPITOLO VII
Chi comanda qui?
Chi concepisce la relazione con i figli in termini di potere, non vede che un’alternativa: se non comandano i genitori, comandano i figli. È una visione ben triste, perché non riesce a uscire dall’idea di una relazione finalizzata al controllo dell’altro. In realtà, la guida gentile è estranea a logiche come “decidere chi comanda”. Si identificano i bisogni di tutti e si cercano soluzioni che per quanto possibile vadano incontro a ciascuno; quando non è possibile, si cerca il miglior compromesso, e se qualcuno si dispiace, gli si offre comprensione, empatia e conforto.
Si tratta di comprendere il bambino, le sue motivazioni, sentimenti, bisogni; ma questo approccio spesso viene letto come assecondare, dire di sì, lasciar fare. Sono invece due piani del tutto diversi. La comprensione non è dire di sì, è un modo di essere che sta prima del sì e del no, e che c’è sia quando la richiesta del bambino viene accettata, sia quando invece viene respinta.
Si obietta a volte che essere “troppo” empatici produrrà individui incapaci di riconoscere l’autorità. Ancora una volta, si fa confusione fra empatia e accondiscendenza, Ma anche fosse vero che un approccio rispettoso produca individui che rispettano se stessi e gli altri e non accettano acriticamente imposizioni o assiomi, questo non può che essere un bene per la società. Il rispetto va guadagnato, e non può essere preteso solo in virtù di una gerarchia.
Chiediamoci se lavoriamo per la pace o per la guerra. Stiamo crescendo dei soldati o dei cittadini capaci di comprendere i bisogni del loro prossimo, ma che pensano con la loro testa? Meglio per tutti sarebbe la seconda possibilità, e questa non si ottiene certo educando a obbedire e allinearsi a chi è più forte solo perché “è in comando”.