E che cos’è la paura del bisogno, se non il bisogno stesso? Il terrore della sete quando il pozzo è colmo, non è forse insaziabile sete?1
I bisogni dei bambini sono intensi, urgenti e irrinunciabili. Un neonato senza un adulto che se ne prenda cura è destinato a morte certa. Ha bisogno di tutto: nutrimento, protezione, cura, contatto, stimoli, contenimento, sostegno, continuità. Ma soprattutto, ha bisogno di una relazione privilegiata e costante con altri esseri umani; e ne ha bisogno per un periodo molto lungo di tempo.
Questa semplice realtà atterrisce molti adulti: hanno conquistato a caro prezzo la padronanza della propria vita, è stata insegnata loro l’importanza di mantenere il controllo della situazione, sono stati abituati a progettare in autonomia i tempi e le modalità delle proprie giornate. Disconnessi dalle competenze innate, isolati da una società che tende a escludere i bambini dagli spazi e luoghi adulti, essere un caregiver diventa per i genitori un compito oneroso e carico d’ansia, e il bambino, con i suoi bisogni, viene percepito come una sorta di buco nero energetico che minaccia l’omeostasi dell’adulto e richiede di essere al più presto messo sotto controllo attraverso una precoce emancipazione.
La relazione fra genitore e bambino è speciale perché quest’ultimo non è ancora in grado di decodificare i bisogni e spiegarli a parole; l’adulto se ne fa perciò interprete, mediatore e risolutore. Ma in questo processo porta tutti i suoi bisogni, la sua storia personale, le sue emozioni, che possono entrare in risonanza con il bambino e le sue richieste, facilitandone o ostacolandone il compito a seconda di quanto il genitore ne sia consapevole, e anche di quanto riesca ad ascoltarli e rispondervi.
Non sempre è facile risalire a questi bisogni di base che, se non soddisfatti, agitano le acque della nostra emotività facendoci sperimentare tutta la gamma delle emozioni; ciascuno di noi è cresciuto in una data cultura, che ha fornito una sua scala di valori portando a considerare alcuni bisogni e ignorarne altri, e ha fornito strategie culturalmente accettabili per soddisfarli. Succede così che spesso queste strategie vengano considerate in sé dei bisogni: “Ho bisogno di soldi”, “Ho bisogno di una vacanza”, “Ho bisogno di un lavoro”, quando in realtà ciò di cui si ha veramente bisogno è, per esempio, sicurezza, riposo, riconoscimento, realizzazione personale.
Per risalire dalle strategie ai bisogni occorre fare un lavoro di introspezione, e analizzare l’emozione che emerge in superficie. Questo permette di identificare il bisogno che l’ha innescata. Ad esempio, alla fine di una giornata una donna potrebbe dire al suo partner: “Ho bisogno che tu ti faccia carico di una parte del lavoro di casa, potresti ad esempio seguire nostro figlio e apparecchiare la tavola, invece che buttarti sul divano”. Questa frase esprime un giudizio sull’altra persona, su ciò che fa e su quello che secondo la sua partner dovrebbe fare; e propone una strategia per risolvere quello che viene percepito come il problema. Ma non esprime il bisogno della madre stanca alle sette di sera. Analizzando come si sente (stanca, irritabile, frustrata) diventa possibile risalire ai bisogni che la fanno sentire così: ad esempio potrebbe avere bisogno di calma, riposo, ma anche forse di apprezzamento per ciò che ha fatto, di sicurezza, e così via. Una volta individuato il bisogno sarà più facile chiedere al suo partner un aiuto senza formulare giudizi sul suo conto, lasciando aperta la possibilità di trovare insieme soluzioni, anche diverse da quelle strategie che lei ha pensato come ottimali o come le sole possibili.