Quando ho iniziato a mettere insieme il materiale per scrivere questo libro, mi sono sentita smarrita e sopraffatta dalla quantità di idee, appunti, testi che in quasi quarant’anni avevo accumulato e messo da parte, un po’ come si mettono via certi oggetti, disparati e difficilmente collocabili in una categoria certa, in quei cassetti tuttofare che alla fine si riempiono fino all’inverosimile e in cui nessuno trova mai nulla quando serve.
Da dove cominciare? Cosa era importante e cosa poteva essere tralasciato? In quale schema teorico dovevo incasellare la quantità di riflessioni fatte in tanti anni di vita vissuta come madre, psicologa, consulente in allattamento, formatrice? Come organizzare ciò che avevo appreso dall’interazione con centinaia di madri, padri, bambini, colleghi, volontari, operatori della salute in qualcosa che avesse un senso e una direzione?
Poi a un certo punto mi sono resa conto che il mio smarrimento non era che lo specchio di ciò che al giorno d’oggi provano tutti i genitori di fronte al compito di accudire e crescere un bambino. Sopraffatti da una cascata inarrestabile di teorie, metodi, stimoli, indicazioni autorevoli, persi nel vociare oceanico dei social network, si trovano, disorientati, a seguire un po’ i consigli del pediatra, un po’ il suggerimento delle mamme in rete, un po’ le pressioni dei parenti; scivolano in una modalità reattiva, guidata da pressioni e indicazioni esterne, e perdono la connessione su ciò che conta veramente: il proprio sentire, il sentire del loro bambino, il senso di giustezza interna che dovrebbe guidarli verso le soluzioni e le scelte adeguate proprio per loro.
Così anch’io, di fronte al mare magnum degli appunti e dei materiali che avevo di fronte, mi sono resa conto di essere scivolata in una situazione reattiva: cercavo di mettere insieme tutto senza trovare una direzione, e lo schema che avevo messo giù era dispersivo, parlava troppo di ciò che non va bene e troppo poco di quello che dovrebbe essere, e mi stava scomodo come un vestito cucito per qualcun altro.
Mi era chiaro che il tema di questo libro sarebbe stato la disciplina dolce, termine ormai consolidato per indicare un approccio educativo basato sull’ascolto e il rispetto di sentimenti e bisogni del bambino. Ma sapevo anche di non essere più a mio agio con la parola “disciplina”, che trovavo dura e violenta ma soprattutto a senso unico, dall’alto verso il basso, cioè qualcosa che si impartisce al bambino, e per la sua associazione linguistica con concetti come divieto, obbligo, subordinazione, obbedienza; e nemmeno ero a mio agio con la parola “dolce”, che trovavo mielosa, fuorviante, perché fa pensare erroneamente che in questo approccio non ci sia spazio per emozioni negative, per momenti forti, per il rigore o per i no. Insieme queste due parole formano un ossimoro, una contraddizione in termini, la parola dolce incollata sulla precedente per smorzarne o correggerne la connotazione violenta.
E così in questo libro utilizzo a volte il termine disciplina dolce, perché ormai di uso comune e immediatamente riconducibile a certi filoni di pensiero; ma uso molto anche il termine guida gentile, che mi sembra più appropriato per descrivere la mia idea di un approccio basato sul rispetto e l’empatia, ma che richiede comunque una presenza a volte anche normativa dell’adulto.
“Guida” mi evoca immagini di contenimento e sostegno: incanalare, essere d’esempio, camminare avanti, tenere per mano. E “gentile”, a differenza del giulebboso “dolce”, indica la delicatezza dell’accostarsi con attenzione alla sensibilità altrui.
Sapevo anche di voler parlare non tanto di teorie e di metodi, quanto di approcci e modi di sentire e di essere. Ed ero ben consapevole che questi modi di essere passavano per sentieri poco battuti oggigiorno, lungo un percorso connotato dalla gentilezza e dalla compassione, senza la violenza della fretta e l’ansia di controllare e dominare ogni cosa. Ma come arrivarci?
Anch’io avevo bisogno di connettermi con il centro dei miei pensieri e del mio sentire, e questo alla fine mi ha dato la chiave per organizzare questo libro in un modo personale, lontano dalle solite categorie per argomenti, per fasce di età, per ambiti, che andava alla radice, e cioè ai sentimenti e ai bisogni del bambino. E nel momento in cui elencavo questi bisogni, mi sono resa conto che stavo parlando anche di quelli dei genitori, perché i bisogni fondamentali sono gli stessi per tutti gli esseri umani, adulti e bambini. Soltanto, forse questi ultimi sono ancora maggiormente in contatto con i propri e non hanno timore di esprimerli.
Ecco perché il cuore di questo libro è dedicato proprio a una riflessione intorno ad alcuni di questi bisogni fondamentali, mentre la prima parte analizza le criticità che incontrano oggi i genitori, e si propone come un percorso per uscire dal labirinto di teorie e consigli che bombardano madri e padri, aumentando la consapevolezza sui meccanismi di pressione e manipolazione di cui sono fatti oggetto, per emanciparsene e trovare così la loro unicità e la loro strada. E come il libro si apre con le nostre fragilità di genitori, così si chiude invece nella terza parte con i nostri punti di forza: perché madri, padri e bambini hanno potenzialità straordinarie e, molto spesso, non c’è che da prenderne atto, riprendersi con orgoglio la consapevolezza delle proprie competenze e rivendicare il diritto a perseguire il proprio personale modo, come famiglia, di stare bene e di trovare la propria armonia, facendosi guidare dai segnali interiori e dall’empatia reciproca, al di là di teorie, metodi, consigli e costrutti spesso troppo lontani dai bisogni dei genitori e dei loro bambini.