Allegato 2

Alcune ragioni che lasciano pensare che la Chiesa
dovrebbe pronunciarsi, oltre che sul maltrattamento,
anche sulla violenza educativa ordinaria

  1. Oggi conosciamo, senza dubbio alcuno, gli effetti distruttivi della violenza educativa sui bambini nel momento in cui il loro cervello è in piena formazione (malattie fisiche e mentali, incidenti, tendenze suicide, masochismo, aggressività, delinquenza, criminalità, violenza politica). Ciò che era scusabile quando questi effetti erano ignoti, non lo è più ora che sono conosciuti. Sappiamo inoltre che la violenza educativa alimenta in modo permanente il maltrattamento, in generale l’unica parte che viene condannata della violenza inflitta ai bambini.
  2. Se la Chiesa oggi per fortuna insiste sull’importanza dei diritti dell’uomo, dovrebbe associarsi anche al movimento che attualmente ha preso forma nel senso del rispetto dei diritti del bambino (la Convenzione relativa ai diritti del bambino di cui all’art. 19 esige dagli Stati che questi prendano tutte le misure necessarie per proteggere i bambini contro qualsiasi forma di violenza; il Comitato del diritti del bambino dell’ONU; la decisione di 33 Paesi, di cui 23 europei di vietare completamente le punizioni corporali).
  3. La voce della Chiesa avrebbe la possibilità di essere ascoltata in un continente come l’Africa, dove il 90% dei bambini sono sottoposti alle bastonate a scuola così come a casa, con conseguenze incalcolabili sullo stato di quel continente.
  4. L’urgenza di cercare tutti i mezzi per mettere fine alla violenza è sempre più grande. La fine della guerra fredda in qualche modo ha liberato la possibilità di conflitti impietosi che prima venivano relativamente controllati dalle grandi potenze. La violenza che si scatena non dipende più da interessi che, benché egoistici, conservavano una certa razionalità. Essa lascia sempre più il posto alla violenza individuale e alla violenza etnica, anch’esse molto dipendenti dalle consuetudini educative violente utilizzate in tutte le regioni in cui si svolgono i conflitti.
  5. L’atteggiamento generale di Gesù nei riguardi dei bambini e le sue parole su come dovessero essere i rapporti tra gli uomini sembrano del tutto incompatibili con la violenza educativa. Sembra che le attuali scoperte sulle conseguenze di questa violenza confermino le sue parole.
    1. Ogni volta che allontanavano da lui i bambini o che criticavano cosa facevano i bambini, li chiamava a sé, li abbracciava, li prendeva in braccio, imponeva loro le mani, li benediva: “Lasciate che i piccoli vengano a me, non glielo impedite!” Vediamo chiaramente che Gesù prende in contropiede l’usanza degli adulti nei confronti dei bambini che consisteva nel respingerli, nel farli tacere, molto probabilmente picchiandoli, come consigliava il libro dei Proverbi.
    2. Per lui i bambini hanno una comunicazione privilegiata con Dio: “Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza”. Si tratta di una citazione da un salmo, ma la scelta del versetto è significativa.
    3. Scandalizzare un bambino è uno dei crimini più inespiabili, che merita una condanna a morte: “chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare” (Marco, 9, 42). Dunque sappiamo oggi che picchiare un bambino significa insegnargli la violenza che correrà più rischi di ripetere in seguito. Insegnare con l’esempio la violenza a un bambino, soprattutto la violenza sugli esseri più deboli, non significa scandalizzarlo?
    4. Gesù vede i bambini non come esseri imperfetti da correggere, ma come modelli da imitare: “È a chi è simile a loro che appartiene il Regno dei Cieli”. “Se non ritornerete e non diverrete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli”.
    5. Gesù comanda di non giudicare. Ora, qualsiasi punizione corporale comporta un giudizio implicito. E il giudizio contenuto nelle botte è un giudizio portato sulla persona, non sull’azione.
    6. Gesù comanda di non: “adirarsi contro il proprio fratello”. Qualsiasi punizione corporale è una forma di arrabbiatura.
    7. Gesù comanda, nella parabola della zizzania, di non cercare di sradicare il male. Non cerchiamo forse di sradicare il male del bambino picchiandolo?
    8. Gesù comanda di “perdonare fino a settanta volte sette”. È il comportamento di un genitore che picchia il figlio?
    9. Gesù comanda di “fare agli altri quel che vorreste fosse fatto a voi”.
    10. Gesù insegna che è dal modo in cui ci si comporta coi più piccoli che si verrà giudicati da Dio: “Tutto ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”. Queste parole non ci dicono forse che picchiare un bambino significa in qualche modo picchiare Dio?
    11. Nella parabola del figliol prodigo, Gesù dà della paternità umana un’immagine fatta interamente di rispetto per la libertà del figlio, di compassione e di gioia di rivederlo che non contiene alcuna sfumatura di altezzoso perdono, né di punizione. Al contrario, il padre va incontro al ragazzo e organizza un banchetto per festeggiare il ritorno di colui che l’aveva chiaramente rinnegato dilapidando la sua eredità.


Tre auspici a proposito di cosa potrebbe dire la Chiesa:

  • Che la Chiesa consigliasse chiaramente ai genitori di non picchiare i figli, in ragione di ciò che ora si conosce sulle conseguenze delle botte, e di ricercare dei metodi educativi senza violenza.

  • Che la Chiesa ricordi agli Stati il dovere legato all’art. 19 della Convenzione dei diritti del bambino (sottoscritta da tutti gli Stati tranne due) che ordina loro di prendere tutte le misure necessarie per proteggere il bambino da qualsiasi forma di violenza.

  • Che chieda a tutti i cristiani di mobilitarsi per far votare l’interdizione delle punizioni corporali e perché si realizzino le condizioni che la rendano applicabile.