Apprendere che nella battaglia della Vita si può facilmente vincere l’odio con l’amore, la menzogna con la verità, la violenza con l’abnegazione dovrebbe essere un elemento fondamentale nell’educazione di un bambino
Gandhi
postfazione
È lecito per il nostro sistema giudiziario
educare con l'uso della forza?
di Paola Carrera e Davide Angeleri
Per parlare dell’atteggiamento del nostro sistema rispetto alla violenza educativa, non possiamo che partire dal dato normativo vigente: l’art. 571 c.p., rubricato come “abuso dei mezzi di correzione”, sanziona con la reclusione fino a sei mesi
chiunque abusa dei mezzi di correzione e disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo e nella mente
le pene sono aumentate se dal fatto deriva una lesione o la morte della vittima.
Il delitto di abuso dei mezzi di correzione e disciplina viene considerato, ormai unanimemente, come norma arcaica, retaggio di un’ideologia di stampo autoritario risalente al periodo fascista, che riconosceva ai genitori, ai maestri e ai precettori il diritto all’utilizzo della violenza allo scopo di educare i soggetti sottoposti, secondo il principio “virga atque correctio tribut sapientiam”.
Di fatto, già corrente l’anno 1996 la Cassazione Civile, con la sentenza n. 4904, affermava che:
È oggi culturalmente anacronistico e giuridicamente insostenibile un’interpretazione degli artt. 571 [abuso dei mezzi di correzione] e 572 c.p. [maltrattamenti in famiglia] fondata sull’opinione espressa nella relazione al codice penale Rocco del 1930, che “la vis modica è mezzo di correzione lecito”, propria di una superata epoca storicosociale, impregnata di valori autoritari anche nella struttura e nella funzione della famiglia. Tali norme vanno, invece, interpretate alla luce della concezione personalistica e pluralistica della Costituzione (in particolare artt. 2, 3, 39, 30, 31) e del riformato diritto di famiglia che, al tradizionale modello istituzionale e gerarchico di famiglia hanno sostituito una visione partecipativa e solidaristica, che nella famiglia individua il coordinamento degli interessi dei suoi componenti e la garanzia dello sviluppo della personalità dei singoli. Tale normativa, che di per sé già impone una interpretazione adeguatrice delle fattispecie penali in esame, ha ricevuto un ulteriore impulso dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo
(Convenzione di New York del 1989 ratificata dall’Italia con legge n. 176/1991) che espressamente riconosce al bambino, tra gli altri diritti fondamentali, quello al “pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità”, ad essere allevato “nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà”, ad essere protetto “contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono, negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale mentre è sotto la tutela dei suoi genitori o di uno di essi”. La stessa pronuncia prosegue prendendo ferma posizione nei confronti del concetto di mezzi di correzione, affermando che il termine correzione debba essere assunto come sinonimo di educazione con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi propri di ogni processo educativo, escludendo che possa ancora ritenersi lecito l’uso della violenza finalizzato a scopi educativi perché
non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo della personalità, sensibile ai valori della pace, di tolleranza e di convivenza nella misura in cui si utilizza un mezzo violento che tali fini contraddice.
A distanza di diciassette anni da questo illuminante pronunciamento nulla però è cambiato a livello legislativo e il nostro Paese continua a mantenere una norma che, di fatto, non punisce l ’uso di metodi educativi implicanti l’utilizzo della forza ma solo l ’abuso di tali mezzi, con ciò continuando a legittimare, sotto l’etichetta del “fine educativo”, la violenza fisica.