Scrivendo questo libro ho tenuto costantemente presente non solo la sculacciata che il titolo evoca, ma tutto l’insieme delle punizioni corporali che subiscono i bambini del mondo. Bisogna sapere infatti che se in un Paese come la Francia rientra nel maltrattamento l’impiego di mezzi più violenti rispetto allo schiaffo o alla sculacciata, questo è il risultato di uno o due secoli di evoluzione. Nella maggior parte dei Paesi del mondo tale evoluzione non si è prodotta, e viene considerato normale e benefico educare i bambini a colpi di bastone o di altri strumenti contundenti, come si faceva normalmente in Francia un secolo e mezzo o due secoli fa. Dobbiamo essere assolutamente coscienti che, giustificando o tollerando da noi gli schiaffi e le sculacciate, giustifichiamo altrove la bastonata, laddove questa rientri a far parte della violenza educativa ordinaria.
Non solo i bambini sono trattati quasi ovunque con una brutalità che pochi adulti subiscono ma, per di più, quasi nessuno se ne preoccupa. Tutta questa violenza si svolge in un angolo morto della nostra coscienza. E non è un caso poiché, lo vedremo in seguito, è la stessa violenza educativa ordinaria che, su questo punto, ci porta a vivere nell’ignoranza e nell’indifferenza.
Cominciando questo libro, mi permetto quindi di insistere affinché il lettore non ometta di leggere la sua seconda parte, anche se la stesura sotto forma di catalogo di Paesi non si presenta come la più favorevole alla lettura. Solo questa presentazione – Paese per Paese – permette di avere una visione concreta del modo in cui sono trattati i bambini ogni giorno, in tutto il mondo, non da torturatori, ma da genitori e insegnanti che nessuno informa delle conseguenze di tali trattamenti.
Qualche decina di anni fa avremmo ancora potuto avere dei dubbi sulla nocività delle punizioni corporali inflitte ai bambini. Ma oggi non è più così. Le ricerche più recenti sul funzionamento del cervello mostrano in modo certo che le botte ricevute dai bambini provocano delle lesioni e ostacolano lo sviluppo cerebrale. Il neurologo di fama internazionale Antonio R. Damasio sostiene l’idea che il modo in cui vengono trattati i bambini possa spiegare molti comportamenti aberranti e crudeli propri dell’umanità e che vengono attribuiti troppo alla leggera alla “natura umana”.
D’altra parte l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha preso posizione e catalogato le punizioni corporali non solo tra le cause della violenza di adolescenti e adulti, ma anche di un grande numero di malattie. Ben pochi purtroppo hanno letto quel rapporto.
Questo libro vorrebbe quindi essere un grido d’allarme indirizzato non soltanto ai genitori e ai semplici cittadini, ma anche ai governi, alle autorità delle grandi religioni e specialmente alle Chiese cristiane, alle organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo e naturalmente alle associazioni che si consacrano alla protezione dei diritti dei bambini; associazioni che, paradossalmente, si occupano del maltrattamento, ma rimangono spesso indifferenti alla violenza educativa ordinaria.
Dopo la prima edizione di questo libro, apparsa nel marzo 2001, la situazione non è cambiata quasi per nulla. Un solo Paese, l’Islanda, si è aggiunto alla lista degli undici Paesi che hanno vietato la violenza educativa all’interno della famiglia. Si poteva sperare in una simile evoluzione del Canada e della Gran Bretagna ma, l’uno nel gennaio e l’altro nel luglio 2004, questi Paesi hanno scelto, malgrado la mobilitazione delle associazioni di protezione dei bambini, di mantenere il diritto di somministrare delle punizioni “ragionevoli”, il che sta a significare praticamente nessun cambiamento. Per ciò che riguarda la scuola, negli Stati Uniti d’America un solo stato, il Delaware, si è aggiunto alla lista dei ventisette stati su cinquanta che vietano le punizioni corporali. E una regione del Pakistan, il Punjab, si prepara a prendere la stessa misura, ma sempre a scuola e non nella famiglia. Nella stessa Francia, vediamo dei professionisti dell’infanzia ai più alti livelli continuare ad opporsi a una legge di divieto con il pretesto che “l’opinione pubblica non è matura”. Ma quando sperano che lo sia, se coloro che si ergono a difensori dei bambini non spingono in tal senso? Viceversa vediamo apparire in particolare in Africa (Camerun, Togo) e ad Haiti delle associazioni decise a lottare contro la violenza educativa. Ed è stato creato in marzo 2005 un Osservatorio della Violenza Educativa Ordinaria il cui principale scopo sarà di far apparire con evidenza la realtà e i pericoli della violenza educativa in tutti i Paesi del mondo (si veda la presentazione di questo Osservatorio nell’allegato 4).
Sul piano della conoscenza che possiamo avere di noi stessi, la pratica delle punizioni corporali è altresì fonte di errore e di ignoranza. Infatti si continua a parlare dell’uomo in generale senza tenere in alcun conto il fatto che il suo cervello abbia potuto conservare la propria integrità o che questa sia stata messa sottosopra durante i lunghi e decisivi anni dell’infanzia a causa delle botte ricevute in famiglia e a scuola. Si continua a discutere della violenza senza tener conto del fatto che la prima violenza subita dai bambini avviene per mano dei loro stessi genitori. Quando si cerca di mettere in allarme gli intellettuali, i poteri pubblici, anzi gli strenui difensori dei bambini sulla nocività della violenza educativa ordinaria e sulla necessità di vietarla con fermezza, spesso non si riceve nessuna risposta, come se si trattasse di una preoccupazione del tutto incongrua e che non merita alcuna attenzione. Quando si ricevono delle risposte, queste sono vagamente accondiscendenti e sprezzanti: com’è possibile che delle storie di mocciosi possano avere la benché minima influenza sulle realtà davvero serie che sono la politica e la storia? Ma quando si è studiata un po’ la questione, non ci si formalizza più. Si sa che la maggior parte degli individui sono stati picchiati, non hanno potuto fare altro che prendere le parti dei loro genitori, si sono vergognati delle botte ricevute, guardano al bambino che sono stati con derisione e per essi prendere sul serio la sofferenza subita darebbe loro la sensazione di perdere l’autorevolezza di adulti e il loro diritto di appartenere a questa parte dell’umanità, gli adulti, che ha il diritto di picchiare l’altra.