prima parte - capitolo v

Con il tiralatte, 15cc

Consultorio. Controllo settimanale del peso. Responso della bilancia: 40 grammi. Bimbo, mi dice l’infermiera, è cresciuto di QUARANTA grammi, in una settimana. Non trecento come il bimbo della signora che è appena uscita sorridente e orgogliosa. Non centocinquanta come da indicazione degli esperti. Neanche cento, da bimbo magari un po’ magrino. No, quaranta. Solo quaranta grammi. Ovvero, non è cresciuto.


Ma cosa sto combinando? Non solo non ho abbastanza latte per lui, ma non è sufficiente neanche l’aggiunta.


Il mio bambino non sta crescendo!


Val dunque tanto il mio desiderio di allattare? L’infermiera non mi calcola, non si accorge di quanto sono giù, di quanto mi sento incapace, smarrita, sola. Dice che in effetti la crescita “non è stata buona” e che devo tornare per un ulteriore controllo tra tre o quattro giorni.


Rivesto il mio bel bambino che non sono in grado di far crescere, e mi avvio verso l’uscita con un peso immenso sul cuore. Ho voglia di piangere, forse piango un po’. Non posso neanche uscire dal parcheggio, perché con tutte quelle lacrime non vedo dove vado.


Vorrei tanto che qualcuno mi dicesse cosa fare. Che qualcuno mi “aggiustasse” le ragadi, che qualcuno mi facesse venire tanto latte. Vorrei che il mio bambino crescesse, che aumentasse trecento grammi alla settimana come il bambino di quella signora che era così fiera di sé (e faceva bene, eh… Anche io sarei stata tutta fiera se fossi stata capace di allattare!). Vorrei che non fosse tutto così difficile. Vorrei che allattare fosse un’esperienza piacevole e arricchente, un’esperienza bellissima, come dicevano al corso preparto.


Invece torno a casa con il mio bambino. Da sola. E vado avanti per tentativi. Ho deciso che devo riuscire a far guarire le ragadi. Forse senza il dolore, sarà tutto più facile. E più bello.


Quindi ascolto l’ultimo dei tanti consigli che ho ricevuto e acquisto un tiralatte. Sì, perché, come mi hanno suggerito, se io estraggo il latte e lo dò a Bimbo con il biberon, lasciando “riposare” il seno, allungando le pause tra una poppata e l’altra, la pelle ha il tempo di cicatrizzare. E ci credo. Ci voglio credere. Anche perché così non possiamo andare avanti.


Ha inizio così un nuovo (estenuante) capitolo. Quello del tiralatte.

Anzi, dei tiralatte.

Tre modelli.


Manuale a siringa. Manuale a pompa. A batteria, semi-automatico.


Come mai tre modelli? Con il primo, dal seno, non è uscita una goccia di latte. Nemmeno una per sbaglio! Con il secondo, dopo interminabili tentativi (che credo abbiano peggiorato la situazione-ragadi), ecco 15 miseri cc di latte.


Quindi era proprio vero che non ho latte. Povero Bimbo! Ci credo che non cresce. Ci credo che piange. E che vuole sempre ciucciare. Nel seno non c’è niente!


Terzo e ultimo tentativo: modello semi-automatico a batteria. Una leggera schiarita: quarantacinque minuti di estrazione, con annesso impressionante ronzio di sottofondo, ed ecco trenta cc di latte.


Vada per il modello a batteria! E con il tiralatte, i giochi si complicano. Adesso le ore della giornata e della nottata sono così ripartite: poppate al seno, preparazione biberon, sedute al tiralatte.


Quando finisco di allattare, inizio con il tiralatte. Quando finisco con il biberon, inizio con il tiralatte. Ho l’impressione di trascorrere i miei giorni usando il tiralatte. Anziché dolci immagini di allattamento, mi vengono in mente le mucche. Sempre e solo le mucche. Ma non le mucche che nutrono il loro cucciolino nei prati, no, le mucche munte in batteria.


Non ho nemmeno il tempo di uscire di casa per fare una passeggiata. Men che mai il tempo di fare una doccia. O di dormire un po’… Devo tirare il latte!


Distanziando le poppate e dando a Bimbo biberon di latte artificiale e biberon di latte di mamma, a volte… non ci capisco più niente. Di orari, quantità, pesate.


E, ancora non lo so, ma sto preparando con le mie stesse mani, il prossimo grande, grandissimo ostacolo che dovrò affrontare.