Le sere d’estate mi incanto a osservare nel mio giardino la luce del sole che si prepara a tramontare: ha
qualcosa di speciale, è come se rendesse tutto più luminoso. Non è la luce forte del mezzogiorno che ferisce gli occhi, è una luce che sembra tirar
fuori l’anima delle cose: il prato sembra più verde, i fiori più vividi nei loro colori, il legno delle sedie più caldo e più intenso. Amo questa
luce. È come se desse profondità a ogni creatura. È come se facesse sentire anche me più luminosa dentro. Sia io sia il mio giardino siamo sempre gli
stessi, ma questa luce così particolare è come se ci offrisse una diversa percezione di noi: ci fa sentire speciali.
Mi chiedo se questo fenomeno non si verifichi anche nelle nostre relazioni e in particolare in quelle fra adulti e bambini.
Con quale luce guardiamo i nostri figli? Con quella al neon dei supermercati, fredda e sempre uguale, o con la calda luce del tramonto che fa
emergere la loro bellezza interiore?
Quante volte ci è capitato di sentire per strada, a scuola o in casa, adulti che ammonivano un bambino con questa enigmatica affermazione “Fai il
bravo!”? Quante volte questa stessa ammonizione è stata rivolta a noi quando eravamo bambini? Il tempo non sembra essere passato, in questo caso. Le
parole sono le stesse, lo stesso il tono con cui vengono pronunciate. Probabilmente l’unica cosa che cambia è la reazione dei bambini che oggi,
sempre più, sembrano far finta di niente. Ma che cosa significa “fare il bravo”? Per un bambino non vuole dire nulla. Per un genitore forse
significa “Stai fermo, non ti muovere, non toccare, non ti sporcare, non rispondere male, non gridare, non piangere” e soprattutto “non dare
fastidio”!
Ma che cosa vuole l’adulto dal bambino, ce lo siamo mai chiesti? C’è un grosso fraintendimento, a mio parere, sulle aspettative dei genitori e
degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia fin dalla nascita. Come il neonato modello è quello che dorme tutta la notte (situazione
peraltro non fisiologica), che non piange mai, che fa pasti distanziati a ritmo di orologio, in una parola non disturba l’adulto e non interferisce
più di tanto nei suoi programmi e nelle sue attività, così il bambino ideale è quello che dice sempre di sì, che fa sempre ciò che gli viene detto,
che sta fermo il più possibile, che non sbaglia mai, che non esprime la sua rabbia, il suo dolore, la sua tristezza ma sorride sempre: insomma un
bambino congelato, finto, artificiale come un robot. Un bambino privo di desideri e di emozioni. È davvero questo che vogliamo dai nostri figli? Che
adulti cresciamo in questo modo? Persone libere e dotate di spirito critico o automi da catena di montaggio?