capitolo x

Il neonato, una persona

“Osserva un neonato: è vulnerabile, aperto, tenero, non ha intorno a sé alcun guscio: è vita nella sua purezza.
Osserva un neonato: è un miracolo che continua ad accadere.”

Osho

“Se l’educazione serve per dare aiuto alla vita, allora l’educazione non può iniziare all’età di tre anni; deve iniziare alla nascita, quando il bambino viene al mondo ed anche prima della nascita: dovrebbe iniziare fin dal momento del concepimento.”

Mario Montessori

Un bambino è nato nel tepore della sua casa. L’ostetrica lo ha posato gentilmente nelle braccia della sua mamma. Non ha pianto. Non ne ha avuto bisogno.


Il neonato è come un astronauta, che viene dallo spazio, da un pianeta lontano. Ha fatto un lungo viaggio per giungere fino a noi e quando arriva sulla terra – quando atterra per l’appunto – può subire una sorta di shock da spaesamento: quello che viene definito il “trauma della nascita”. “Il cambiamento in sé è spaventoso – scrive Maria Montessori – come se uno passasse dalla terra alla luna”468. Per tanti mesi egli è vissuto in una dimensione di leggerezza, proprio come un astronauta galleggiava nella sua navicella spaziale non sottoposto alla legge di gravità, nutrito da un sondino, il cordone ombelicale, collegato alla sua fonte – la madre – attraverso la placenta, un organo straordinario che fa da confine tra due mondi e lo accompagna per tutti i nove mesi della gravidanza.


Il neonato viene dalle stelle, da uno spazio senza confini, da un mondo di luce e di amore. Il neonato viene dal Paradiso. Paradiso è una parola che deriva dal persiano e che significa giardino: ecco da dove proviene un bambino. E, all’improvviso, ecco che il piccolo esploratore si trova catapultato in un mondo freddo, grigio, artificiale, fatto di plastica e di cemento, dove un popolo di giganti parla una lingua che lui non capisce, dove tutti sono agitati e frettolosi, distratti e quasi assenti, tanto sono presi da preoccupazioni per lui incomprensibili.


Potete capire quanto sia grande il suo disorientamento e il suo bisogno di trovare punti di riferimento che gli ricordino “casa”. Il neonato, proprio come il piccolo Gesù, è in cerca di una dimora. Ma anche per lui spesso non c’è posto. Non c’è posto nel cuore, non c’è spazio nell’anima. Magari la sua cameretta è già pronta, in tutti i dettagli, per accoglierlo ma non c’è spazio per lui, per la sua individualità, per il suo essere così unico e speciale.


“Nell’ambiente nulla è preparato per ricevere quel fatto grandioso che è l’incarnazione di un uomo: perché nessuno lo vede e perciò nessuno l’aspetta”469 scrive Maria Montessori. Ecco, è proprio questo il punto: nessuno lo vede! Nessuno – o quasi nessuno – sa percepire l’essenza che si cela dietro al volto di un neonato. Forse perché è l’essenza stessa di Dio ed è difficile sostenerne lo sguardo.


E invece, come afferma Hillman, l’anima può discendere e farsi carne solo se qualcuno la accoglie e la riconosce. Allora il neonato sa di essere arrivato a casa, nel posto giusto per lui: quando qualcuno lo vede e lo riconosce si sente accolto, benvenuto nel mondo. Allora sì che può mettere radici. È come se una luce si accendesse: e la vita diventa non solo possibile, vivibile ma anche amabile, auspicabile. Altrimenti è mera sopravvivenza.


Non per niente in tutte le culture del mondo esistono specifiche formule di benvenuto al neonato per invogliarlo a restare con noi, proprio come si farebbe con un ospite giunto da molto lontano.


“Sei arrivata nel momento in cui ti desideravamo e occupi il posto che ti abbiamo riservato” dice la nonna senegalese alla nipotina appena nata per farla sentire “a casa”. “Sappi che sei amato e sostenuto in questo tuo viaggio. Tu non sei mai solo. Sei collegato al Tutto”470 dicono gli aborigeni australiani quando accolgono il neonato appena uscito dal ventre materno. E sono esattamente le parole che un neonato vorrebbe sentirsi dire: parole che rappresentano un concentrato di saggezza spirituale e che forniscono al bambino la fiducia necessaria per affrontare la vita e viverla partendo da una base di sicurezza.


I nativi americani regalano ai loro bambini appena nati una coperta e un paio di mocassini: simbolo, la prima, del calore materno e i secondi, della protezione paterna. Così si può andare nel mondo con coraggio e fiducia perché nulla fa più paura.


Il neonato vive ancora in prossimità del cielo e l’apertura della fontanella ne è la concreta dimostrazione: più è ampia e più il bambino è legato al mondo da cui proviene, più ha bisogno di radicarsi nel mondo terreno. L’accoglienza in questo caso è determinante. I gesti devono essere molto lenti, senza fretta. Il bambino viene da una dimensione senza tempo. Siamo di fronte a un miracolo, a qualcosa di sacro. Bisognerebbe inginocchiarsi di fronte a lui, come hanno fatto i Magi e i pastori davanti al Bambino divino.


Per favore, non disturbate, entrate in punta di piedi. Datemi tempo, sembra dirci il neonato. Occorre offrirgli il mondo a piccole dosi, come diceva Winnicott, io aggiungerei in dosi omeopatiche… Con grande rispetto e delicatezza.


Adele Costa Gnocchi diceva che “il neonato è come uno speleologo sceso nel ventre della terra: quando risale, tutti gli chiedono di cosa abbia bisogno e lui risponde: ‘Non mi toccate, voglio solo riposare’”471. Per ambientarsi nel nuovo mondo c’è bisogno di tempo.