capitolo xii

I bambini dai 3 ai 6 anni

“La mente dei tre anni dura per cento anni”

Proverbio giapponese

“Peccato per chi non è vicino alla foglia e al bambino
Per chi non capisce come si annoda l’acqua”

Fabrizia Ramondino

“Cane e uccello sono i suoi vicini; farfalla e fiore i suoi uguali.
In una pietra o in una conchiglia scopre un fratello.
…Non servono cose superflue, basta così poco al bambino per essere felice…”

Janus Korczack

Con indosso un bel grembiule colorato e in testa un bianco cappello da cuoco, Sarah, la mia primogenita, quando aveva tre anni, mi aiutava in cucina: insieme preparavamo la pasta per la pizza. Lei affondava le sue manine nella farina e mescolava gli ingredienti a uno a uno: l’acqua, l’olio, il lievito, il sale. A poco a poco l’impasto prendeva forma e Sarah lo sbatteva, lo piegava, lo rigirava, lo schiacciava fino a che diventava morbido ed elastico. Poi le spiegavo che bisognava coprirlo con uno strofinaccio e lasciarlo lievitare al calduccio. Quando dopo un’oretta la massa era visibilmente cresciuta, e lei la osservava incantata, con grande stupore, ecco che arrivava il momento di stenderla con il matterello e di nuovo le piccole mani si mettevano al lavoro spingendo con forza sul tagliere di legno. Poi era la volta della farcitura: pomodoro, olio, mozzarella e un po’ di origano. Toccava a me mettere a cuocere la pizza nel forno che dopo non molto usciva bella profumata e croccante: la cena era pronta, con grande gioia di Sarah che, fiera e orgogliosa della sua creazione, diceva al papà appena tornato a casa “L’ho fatta io!” e mangiava con gusto, a quattro palmenti.


Ecco un evento che può sembrare banale e che invece non lo è affatto. In una attività domestica di routine, come la cucina, si cela un significato profondo ed è proprio il bambino che ce lo rivela: nel preparare il cibo con amore c’è arte, creatività, movimento, trasformazione alchemica. Si parte da pochi ingredienti che, uniti sapientemente tra loro, come per magia, danno vita a qualcos’altro: la farina con il lievito e il calore del forno si fa pane, focaccia, torta, biscotti. C’è un’origine, un punto di partenza, e un processo, un mutamento. Ma c’è anche la precisione dei gesti e delle misurazioni, c’è anche la matematica dei grammi, dei millilitri, c’è la geometria delle forme (la ciambella rotonda come un cerchio, la quiche rettangolare, i frollini quadrati o triangolari). C’è la sensorialità tattile del morbido, liscio, elastico, quella olfattiva del profumo di vaniglia e di cannella e, infine, quella gustativa del dolce sapore di cioccolato che si scioglie in bocca… E poi di nuovo la matematica con le frazioni: una fetta a me, una a te, una al fratellino, ecco che rimane un quarto di torta… Per non parlare della condivisione dei frutti di un lavoro di gruppo: ognuno ha contribuito a creare qualcosa di nuovo e di utile per il bene della comunità. E infine, gli esercizi di vita pratica per riordinare la cucina in subbuglio, spazzare la farina caduta per terra, lavare il tavolo su cui si è impastato, ripiegare il grembiule che si è usato.


Il valore didattico della cucina è, a mio avviso, insostituibile. Essa rappresenta infatti una sorta di vero e proprio laboratorio pedagogico. Peccato si stia perdendo sempre più, sia a scuola, dove le norme igieniche imperano in misura crescente impedendo la maggior parte delle attività educativamente più significative, sia a casa, perché le mamme hanno sempre meno tempo per cucinare e ricorrono in misura sempre maggiore a pasti pronti o prodotti surgelati da scaldare velocemente nel forno a microonde, con effetti dannosi sia sulla salute fisica dei bambini che su quella psicoemozionale.


Consentitemi, a questo proposito, di aprire una parentesi che mi porta poi ad introdurre ulteriori considerazioni.