prima parte - capitolo viii

Il piccolo Sigismondo
e le turbe del Professore

Credo che solo analizzando ciò che sappiamo della vita di Freud si possano rilevare le tracce di quei vissuti emotivi penosi che lo devono aver spinto a creare la sua teoria. Nel capitolo precedente ho collegato i concetti di sessualità infantile, incesto ed Edipo alle esperienze sessuali precoci vissute da Freud. In questo capitolo proverò a collegare la più generale visione adultocentrica dell’autore (bambino crudele, colpevole, bugiardo, manipolatore) a eventi reali della sua infanzia che immagino abbiano creato in lui non poca sofferenza. Sofferenza rimossa, non elaborata e, una volta trasformata in rabbia, proiettata in seguito sulla sua teoria e sui suoi pazienti.

Vediamo brevemente alcuni passaggi, tratti principalmente dal suo biografo ufficiale Jones1:

  1. Freud riferisce di non avere molti ricordi del periodo dell’infanzia fino ai sette anni circa. Non ricordare i primi tre anni di vita è un fatto assolutamente normale, dal momento che in quel periodo il cervello è ancora in formazione e le facoltà mnemoniche devono ancora svilupparsi del tutto. Ma dopo i tre anni i ricordi possono essere in realtà molti e molto vividi. Freud non li ricorda. Possibile che li abbia appunto rimossi, perché troppo dolorosi? Certo. O forse semplicemente non vuole ricordarli, né doverne parlare? Possibile anche questo. Così Freud si riferisce a quel periodo: “Erano tempi duri, e non vale la pena di ricordarli”. Pensate che del periodo tra i tre e i sette anni della sua vita sono noti solo cinque episodi!

  2. Da bambino Freud soffriva anche di una grave fobia per i treni, che durò per ben 12 anni. Da adulto interpretò questa fobia come paura di perdere il seno materno. Ammesso che sia questa la giusta interpretazione della fobia, mi domando perché mai dovesse aver temuto la perdita della madre. Un vissuto di questo tipo è associato sempre a una reale situazione di pericolo che il bambino percepisce:

    la madre, evidentemente, non è riuscita a rassicurarlo della sua presenza e del suo amore. Quando temiamo di poter essere abbandonati da una persona per noi importante, significa che di fatto questa persona non è riuscita a trasmetterci la sicurezza della sua presenza. Se ho sperimentato la vicinanza affettiva costante di mia madre, perché devo temere che questa possa allontanarsi e abbandonarmi?
    Freud, ahimè, una risposta se la dà: la sua paura è da ricollegare evidentemente, scrive Jones, a una sua particolare “avidità infantile” e non dunque a delle reali mancanze delle sue figure genitoriali.

  3. Quando aveva solo undici mesi nacque il fratellino Julius (prima Freud era stato il primo e unico figlio della madre Amalie; il padre aveva altri figli da un precedente matrimonio). Sappiamo che un bambino nei primi tre anni di vita ha bisogno di ricevere continuamente attenzione, affetto e protezione dalle figure genitoriali. L’arrivo di un fratellino quando si hanno solo pochi mesi porta inevitabilmente la madre a occuparsi anche di lui, privando fatalmente (e non di proposito) il primo figlio di quelle attenzioni che sulle prime erano destinate solo a lui. Questo può creare nel bambino un conflitto e un disagio. Freud confessa in una lettera a Fliess (1897) di aver odiato quel fratellino e di avergli augurato i peggiori mali del mondo. Il fratellino poi, all’età di solo otto mesi morì, con gli inevitabili sensi di colpa che Freud confessa di aver avuto per tutta la vita. A due anni e mezzo arrivò poi un’altra sorellina, Anna, e il fantasma dell’abbandono materno si riaffacciò inesorabilmente.

  4. Non dimentichiamoci, inoltre, che la famiglia Freud, per motivi economici e in quanto ebrea (rivoluzione del 1848-49/Nazionalismo ceco), fu costretta a diversi spostamenti in vari Paesi. Freud bambino si ritrovò letteralmente “strappato dalla casa e dalla felicità della sua prima infanzia”2. Anche questa esperienza deve aver creato in lui un’inevitabile sofferenza, un senso di panico e di perdita.

  5. All’età di due anni Freud bagnava ancora il letto. Questo fenomeno è assai rilevante, perché rimanda a una angoscia infantile che il bambino non riesce a gestire. Oggi un genitore si rivolgerebbe allo psicologo per comprendere il problema del figlio e per risolverlo. Per Freud rimase semplicemente un ricordo, senza averlo mai sviluppato né essersene mai chiesto il significato.

  6. Il ricordo del padre Jakob è quello di un uomo onesto e gran lavoratore, ma anche molto autoritario, sempre adirato quando per esempio il piccolo Sigmund faceva la pipì a letto o quando entrava in camera dei genitori mentre loro erano in intimità. Freud ricorda anche di aver una volta urinato volutamente nella camera dei genitori, all’età di sette o otto anni. Il padre lo redarguì con un deciso “Quel ragazzo sarà sempre un buono a niente”. Per Freud deve essersi trattato di un duro colpo alla sua piccola personalità di bambino e scrive in proposito:

    Questo dovette essere un tremendo colpo per la mia ambizione, poiché nei miei sogni ricorrono continue allusioni a quella scena, e si associano costantemente all’enumerazione dei miei successi, come se io volessi dire: ‘Vedi, dopo tutto son riuscito a qualcosa’.