La terza fase del travaglio – quella compresa tra la nascita del bambino e il momento in cui la neomamma espelle la placenta di suo figlio – è un momento spesso trascurato, ma critico per la madre e per il bebè. Per entrambi è in corso un passaggio straordinario. Per il piccolo esso comporta mutamenti fisiologici sostanziali affinché si adatti a un ambiente radicalmente nuovo. Per la madre tale passaggio implica la trasformazione, in pochi minuti, da gravida a non gravida. Per fortuna si tratta di cambiamenti generalmente dolci e appropriati per favorire il benessere materno-infantile e la sopravvivenza ottimali.
Questi passaggi e queste trasformazioni possono esser favoriti dalla conoscenza della fisiologia legata alla terza fase, di madre e bambino; dall’assistenza competente che lasci, in sostanza, che “vada come deve an-dare”; e dalla scelta informata. In questo capitolo troverete informazioni che permettono alla madre e al bambino di vivere un passaggio semplice, sicuro e gradevole, oltre a dati utili per decidere in merito a questioni quali la conservazione del sangue cordonale.
La medicalizzazione della gravidanza e del parto si è radicata in profondità nella nostra cultura, tanto che la sua influenza risulta difficile da smascherare e dura a combattersi. L’esposizione, sociale e personale, alla nascita medicalizzata come “la norma” ha fatto sì che molti di noi ignorino, e persino diffidino, dei naturali processi del travaglio e del parto.
E tuttavia si tratta di processi che restano codificati in ogni singola cellula del nostro organismo, in modo tale che la donna moderna risulti progettata in maniera superba per partorire, tanto quanto le nostre progenitrici. Il codice genetico legato alla nascita è ricco e preciso, perfettamente idoneo a rispecchiare i mezzi più efficaci ed efficienti della riproduzione umana, compresi gli esiti ottimali per madre e figlio, nel breve, medio e lungo termine.
Negli esiti ideali intervengono gli ormoni e l’istinto materni, che influiscono sulle emozioni e sul comportamento dal preconcepimento (con la scelta del compagno), e, attraverso la gravidanza, al parto e alla maternità. È il codice genetico, e gli eventi da esso prodotti, a essere, in primo luogo, volto alla creazione di un legame sicuro madre-bambino. Quest’ultimo garantisce il nutrimento ottimale mediante l’allattamento al seno, oltre al miglior accudimento, la miglior protezione e lo sviluppo più idoneo al piccolo in fase di crescita, piccolo che tra tutte le specie è il più immaturo e il più dipendente (per saperne di più sui benefici a lungo termine dell’attaccamento e dell’allattamento si vedano i capitoli XI e XII).
Pur con le migliori intenzioni, la moderna ostetricia non ha rispettato questo codice genetico. Nella corsa alla tutela di madri e bambini contro incidenti ed eventi letali, sono stati ignorati i potenti influssi degli ormoni materni del parto, delle emozioni e dei comportamenti istintivi, per quanto i ricercatori si battano per comprenderne la complessità.
L’indifferenza culturale, e senza precedenti, nei confronti degli aspetti emotivi e istintivi di gravidanza e parto ha gravi ricadute sulle madri e sui loro figli. Nella terza fase del travaglio, quando avviene il primo incontro tra madre e figlio, lo scarto tra istinto e codice genetico, e le modalità di parto praticate di norma nella nostra cultura, risulta particolarmente profondo.
In un momento in cui Madre Natura vuole stupore ed estasi, noi pratichiamo iniezioni, controlli, clampaggio e trazione del cordone ombelicale. In luogo di calore corporeo, contatto pelle a pelle e istinto naturale che conduce il neonato verso il seno, noi proponiamo separazione, panni contenitivi e assistenza esterna per “attaccare” il bambino. Quando il tempo dovrebbe fermarsi davanti ai momenti di eternità del primo contatto, mentre madre e figlio si innamorano, noi abbiamo premura di estrarre la placenta e ripulire per il parto successivo.
Negli ultimi anni la gestione medica della terza fase si è spinta persino oltre, grazie al successo della “gestione attiva della terza fase”. Sebbene gran parte di queste pratiche sia volta a ridurre i rischi di emorragia post partum (o EPP), evento di certo grave, pare che, così come nella gestione attiva, la medicalizzazione del travaglio e del parto determinino, di fatto, alcuni dei problemi che la gestione attiva intende risolvere.
Essa genera difficoltà precise nella madre e nel bambino. Nello specifico, essa rischia di ridurre mediamente di un terzo il volume sanguigno del neonato. Quando si ricorre alla gestione attiva, il sangue extra, che dovrebbe irrorare i polmoni appena entrati in funzione così come altri organi vitali, viene eliminato insieme alla placenta. Tra le possibili conseguenze vi sono difficoltà respiratorie e anemia, specie nei bambini più vulnerabili. Assai probabili anche effetti a lungo termine sullo sviluppo cerebrale.
I farmaci e le procedure previsti nella gestione attiva comporterebbero rischi aggiuntivi per la madre, come vedremo in seguito. Tale pratica produrrebbe, come descritto più avanti, ulteriori rischi per il bambino, dal momento che non conosciamo gli effetti a lungo termine dei farmaci impiegati nel corso della terza fase, i quali potrebbero attraversare la placenta raggiungendo il bambino in una fase di sviluppo cerebrale particolarmente delicata.