Da dove cominciare? Veramente non lo so! Ogni volta che inizio a parlare di LEI non riesco più a fermarmi, le
parole si mescolano alle emozioni e tutto il mio io ne risulta sconvolto.
Eppure sono passati undici anni… come vola il tempo! Soprattutto quando non hai uno scricciolo accanto a riempirti le giornate.
Ero una bambina eppure mi sentivo pronta ad accogliere con amore una nuova vita, mai avrei pensato che il suo passaggio nella mia esistenza sarebbe stato così doloroso, intenso, commovente ma soprattutto pieno di amore!
Sto parlando di Silvia, la mia prima bimba. Avevo sedici anni quando l’ho “scoperta” e tra la paura folle dell’inizio e le incertezze delle ultime settimane di gravidanza credevo di aver raggiunto la tranquillità quando una mattina mi sono svegliata con una grossa perdita di muco e dei piccoli doloretti fastidiosi. In fondo avevo finito le 39 settimane da due giorni, era da aspettarsi il parto, no?
Percorro il tragitto che mi separa dall’ospedale al colmo della felicità: finalmente avrei abbracciato la mia bimba! Avrei potuto coccolarla, allattarla, prendermi cura di lei. Avrei finalmente avuto una persona da amare e che mi avrebbe amato sempre, per tutta la vita!
Ma il destino (Dio?) aveva in mente qualcosa di diverso per me.
Entriamo nella stanza per il monitoraggio e… da lì i ricordi si fanno confusi. Ricordo solo paura, tanta! E un mare di disperazione: non si sente il battito della bambina! Il tracciato registra solo le contrazioni che si fanno sempre più intense ma io ormai il dolore non lo sento più. Mi sembra di essere sospesa tra due mondi, addirittura mi sembra di vedermi dall’alto, distesa su un lettino, in preda a un pianto irrefrenabile con un via vai di dottori che armeggiano sul mio corpo, in un posto che prima consideravo “sacro” mentre ora neanche mi rendo conto che stanno “profanando” il mio corpo!
In quel momento io sono morta! Non avevo più alcun interesse per ciò che mi circondava. Il dolore delle contrazioni si faceva sempre più incalzante e io non riuscivo neanche più a respirare, desideravo solo morire. Quando hanno iniziato a parlare di cesareo non capivo veramente più nulla. Mi hanno portato in sala operatoria. Mi hanno addormentato. Io speravo di non risvegliarmi più, invece ho riaperto gli occhi e mi sono ritrovata in un ascensore. Pochi secondi per rendermi conto che era tutto vero, che non era solo un brutto sogno. Il dolore alla ferita è subito insopportabile, nonostante gli antidolorifici. Credo non fosse un reale dolore fisico, nulla avrebbe potuto farmi sentire meglio, se non abbracciare la mia piccola Silvia… ma lei già non c’era più. La mia pancia era inutilmente vuota e vuota mi sentivo io. Senza senso, senza significato. Respiravo ma l’aria che mi entrava nei polmoni era dolorosa.
Passano le ore, i giorni… non lo so. Il tempo era diventato lento, lentissimo, sembrava voler acuire il mio dolore e io non riuscivo a reagire, anzi!
Ero io la COLPEVOLE! Ero io che non ero stata capace di proteggere la mia creatura, ero io che l’avevo fatta morire, quindi soffrire mi sembrava il minimo! Anche il cesareo in quest’ottica aveva un senso: ero stata indelebilmente sfregiata, per ricordare la mia colpa, per ricordarmi per tutti i giorni a venire che io non ero degna di avere qualcuno che mi amasse.
Sono stati giorni, mesi, terribili: mi sentivo trascinare a destra e a sinistra, tutti si sentivano in dovere di fare qualcosa con me e per me, dai miei familiari al mio fidanzato, dai compagni di classe ai professori, eppure io mi sentivo così terribilmente sola! Mi sentivo distante da tutto e da tutti. Non volevo reagire, preferivo crogiolarmi nel dolore, credendomi incapace di tutto, rendendomi incapace di tutto.
Per far felice chi mi era attorno alla fine avevo ripreso la mia vita: scuola, amicizie, uscite, feste… ma i mesi passavano e io piangevo spesso, in silenzio anche se avrei voluto urlare. Assieme ai mesi passarono anche gli anni, iniziavo a piangere di meno, ma continuavo a sentirmi sola, nonostante l’amorevole presenza del mio fidanzato.
Iniziavo a fare una vita “normale” ma mi sentivo anche terribilmente in colpa nei confronti della mia bambina, festeggiavo tutti i suoi compleanni, da sola.
Ogni sera le rivolgevo un pensiero, quando ero felice pensavo a lei, quando ero triste pensavo a lei. Non passava giorno senza che pensassi a lei. Quando attorno a me sentivo di una nuova gravidanza il mio cuore sanguinava, provavo un misto di rabbia e di invidia: c’era una parte di me che non trovava giusto che altri potessero godere di una gioia che a me era stata negata. Non riuscivo a tollerare la loro felicità, per me era fonte di un dolore immenso, cercavo di non dare importanza a questi sentimenti, ma diventavano sempre più ‘invadenti’, era diventato doloroso anche guardare un neonato in televisione!
Fortunatamente dopo qualche anno, riuscii a trasformare questo dolore in amore: un amore incondizionato e smisurato verso tutti i bambini. Il pensiero della mia Silvia era sempre carico di malinconia, ma ora riuscivo quasi a sopportarlo.
Ma il destino (Dio?) non ama la tranquillità per cui mi ritrovai di nuovo in dolce attesa…
Sono stati nove mesi carichi di paure e di ansie, mi chiedevo se sarei stata capace di prendermi cura del mio secondo cucciolo, l’ansia divenne quasi insostenibile, ma finalmente dopo otto anni potei finalmente stringere il mio piccolo Alessandro! Grazie a lui sono riuscita a interiorizzare quello che era successo a Silvia, sono riuscita a perdonarmi.
Ora che Chiara, la mia terza bimba, sta per compiere un anno, l’amore che provo per la mia Silvia non è affatto diminuito, anzi! Quando mi chiedono quanti figli ho faccio sempre molta fatica a rispondere due perché Silvia la sento qui, accanto a noi. È il nostro angelo protettore!
Ho dovuto fare un lungo lavoro su me stessa per perdonarmi, per accettare quello che era successo e per imparare a essere grata di questa esperienza così dolorosa. Ma è anche grazie a Silvia se oggi sono la mamma presente e amorevole che i miei bambini conoscono, perché è stata Silvia a insegnarmi ad amare sempre, a qualunque costo! È stata lei a insegnarmi che la vita è un dono speciale e non c’è mai un valido motivo per desiderare di perderla, nonostante tutto il dolore e la disperazione, la vita è un valore, il valore più grande!
E ogni volta che sento chiamarmi “mamma” sento due voci che mi chiamano: Silvia è qui, con noi! E nessuno potrà più portarmela via perché la vedo negli occhi di Alessandro e Chiara, nelle loro voci, nei loro giochi… loro sono due, ma anche tre!
Noemi