seconda parte - Perdere un bimbo dopo la nascita

Il tempo di uno sguardo

Quando la mia prima figlia, Vittoria, aveva quasi tre anni, abbiamo cercato un altro bambino. Avevo vissuto la prima gravidanza molto serenamente e, una volta superato il terzo mese, non mi sono preoccupata di stare particolarmente attenta a niente. Forse – lo penso adesso –, avrei potuto stare un po’ più tranquilla, e ho certamente sbagliato a prendere Vittoria in spalla qualche volta. Però mi sembrava che andasse tutto così bene, io mi sentivo benissimo… Invece alla 26a settimana, una mattina andando in bagno, nel dormiveglia mi sono resa conto che si erano rotte le acque. Non ci potevo credere, e neanche mio marito. Però purtroppo non c’era stato niente da fare, e dopo una giornata convulsa di tentativi per evitare che accadesse, verso le 6 del pomeriggio era nato Adriano.


Mi ricordo che quel pomeriggio al telefono parlavo con la mia amica ginecologa dell’ospedale di Poggibonsi, dove avevo sperato di far nascere anche lui. Lei cercava di rincuorarmi e di convincermi che non era colpa mia, che non avevo fatto niente di male. E invece io lo sapevo, che avevo esagerato con i pesi, con la stanchezza, e che non avevo ascoltato il mio corpo che da qualche giorno mi stava dicendo che le cose non andavano affatto bene. Io sapevo che non avevo voluto ascoltare quelle voci perché non era possibile che stesse capitando proprio a me una cosa così spaventosa come un prematuro di ventisei settimane certamente destinato alla morte. E quel giorno intero trascorso nel letto dell’ospedale era stato solo il primo di una serie infinita di interminabili momenti che avrei in seguito passato a chiedermi: “Dove ho sbagliato? Cos’ho fatto per NON meritare questo bambino? – e in definitiva, la domanda che mi sarei chiarita molti mesi più in là: – Perché non gli sono andata bene come mamma?”


Le infermiere, mentre mi “preparavano” per il parto, mi supportavano alla meglio dicendomi: “Vabbé signora, sarà per la prossima volta”, facendomi capire che era ovvio che Adriano sarebbe nato morto o morto poco dopo il parto.


Ma era stato con grande stupore del ginecologo, delle ostetriche, del mio amico nefrologo che ha assistito al parto, che Adriano invece non era affatto morto, anzi! Piangeva, piccino, o meglio faceva un sottile rumore con la bocca… a poco più di sei mesi di gestazione! C’era una placenta grandissima e Adriano si dava da fare come un matto a vivere!


Su questo momento mio marito ha avuto un’impressione più lucida della mia, ma io ricordo che quando l’hanno portato via nell’incubatrice, intubato, ho guardato come fosse fatto, aveva in testa qualcosa tipo dei capelli biondi, e ho pensato: “Capelli? Hanno già i capelli? E come farà a respirare con quel tubo in bocca?”