seconda parte - lettere ai bimbi non nati

Piccolo mio, piccola mia...
Sono io. La tua mamma

La morte di coloro che noi amiamo e che ci amano, ci offre la possibilità di una nuova, più radicale comunione, una nuova intimità, un nuovo appartenersi l’un l’altro.
Se l’amore è veramente più forte della morte, allora la morte ha la capacità di approfondire e stringere i legami d’amore.

Henri J.M. Nouwen, Sentirsi Amati

Piccola mia, ti scrivo per la prima volta dopo un lungo inverno.

Fuori c’è il sole, i tuoi fratellini giocano in giardino e la tua mamma sente che è finalmente arrivato il momento di aprire il suo cuore alla primavera. È una bellissima giornata per incontrarti ancora. Per raccontare con le parole ciò che, finora, è rimasto chiuso nei miei pensieri.


Parole per raccontare, per testimoniare, per gridare al mondo che tu esisti, sempre. E che nel mio cuore hai un posto che nessuno potrà mai cancellare.


Sei arrivata in un giorno d’autunno, sorpresa immensa e immensa gioia scoprirti lì, nella tua bolla d’amore, sospesa nella mia pancia… invisibile al mondo, ma intimamente mia. Siamo state insieme per una manciata di giorni senza dire a nessuno di noi. Custodi segrete di un grande dono. Abbiamo passeggiato, riso, amato, tremato, giocato… io e te. Poi la voglia di condividere la notizia con il tuo papà, la speranza di trovare in lui un nido caldo dove tenerti protetta e farti crescere. Invece no.


La paura lo ha tradito. Lui non ha reagito come io e te speravamo. I giorni sono diventati lunghissimi, in attesa che un raggio di sole gli scaldasse il cuore e potesse farlo ragionare e venire a patti con la paura. Ho provato a scusarlo, sai. Ci ho provato con tutta me stessa, ma poi ho sentito che stavo tradendo te. Tu, che eri nella mia pancia, sentivi e soffrivi con me per la lontananza emotiva del tuo papà. Ho creduto di saperti proteggere da sola. Ho cercato aiuto negli affetti di poche amiche fidate. Sapevo che con il tempo anche il tuo papà si sarebbe abituato alla tua presenza e ne sarebbe stato entusiasta. Ma la mia sofferenza si faceva ogni giorno più grande. Non ho mai provato un senso di rifiuto così profondo, mi sono sentita tanto sola, piccola mia.


Avrei dovuto difenderti e gridare al mondo che c’eri! E invece ho passato un mese a piangere e commiserarmi, delusa dalla paura di tuo padre e angosciata sul futuro. E tu, tesoro mio, hai preferito volare via. Ritornare dalla Luce celeste da cui sei venuta. Mentre io mi incamminavo a passi incerti lungo la mia terza gravidanza, tu avevi già deciso di lasciarmi. E così siamo andate avanti un altro po’: io che mi cullavo nell’illusione della mia nuova maternità e tu che a poco a poco tornavi a farti più piccola, rallentavi la tua crescita fino a ripiegarti su te stessa e fermarti. Le ecografie, tre in meno di dieci giorni, non ci hanno dato speranza. Aborto interno è stata la diagnosi definitiva e lancinante.


Non so descrivere quello che ho provato, non ci sono parole adatte. L’attesa dell’emorragia che non arrivava, il voler fermare il mondo quando il mondo invece non aspettava noi… Avrei voluto accompagnarti nel tuo viaggio di ritorno, offrirti tutto il tempo di lasciarmi e tornare verso la Luce. Non ne sono stata capace. Perché il mondo non si è fermato insieme a me. Perché non c’è tempo in questa vita per aspettare una vita che se ne va. Non c’è spazio per rispettare i tempi della morte. Alla fine ho accettato il raschiamento, l’ultimo scalino verso l’abisso. Incredibile come in un reparto dove si è abituati ad accogliere la vita non ci sia spazio per la morte. Non è possibile che gli operatori che si occupano di nascita non sappiano accogliere il dolore di una donna che ha perso un figlio. Non è possibile! Questo è il mio grido oggi. Questo è quanto mi spinge a scrivere questa testimonianza, al di là della sofferenza personale e del desiderio di condividere questa storia. Nessuno, in ospedale, è stato capace di accompagnarci verso la separazione e la perdita. Nessuno. Vergogna!


Qualche giorno dopo il raschiamento, tu sei venuta a trovarmi in sogno. So che sei una bambina. Lo so per qualche strana alchimia che ci ha legate per quelle nove settimane. Nel sogno dormivi beata, ma il tuo corpicino era quello di un albero secco, senza radici… mi sono svegliata terrorizzata, con un’angoscia immensa al petto e la sensazione di respiro soffocato. Non ho saputo darti una terra fertile dove mettere radici. Ti volevo così tanto e non ho saputo proteggerti. Poi, dall’alto dove sei tornata, tu hai iniziato a mandarmi un po’ di Luce. E ho incontrato una persona speciale, che ha saputo accogliere il mio dolore e restituirmi poco a poco la pace.


Oggi io e tuo padre abbiamo imparato una grande lezione di vita. Si cresce anche nel dolore e noi abbiamo deciso di andare avanti, di custodirti nel nostro cuore, di lasciare che il tuo ricordo venga a trovarci ogni volta che lo vorrai. Non potevo non perdonarlo. La sua paura ha paralizzato la gioia di saperti fra noi. Il tempo l’avrebbe aiutato ad accoglierti come meritavi. Adesso lo so. E sono sicura che anche tu lo sai e ci sorridi da lassù. Dalla stella dove illumini la nostra strada…


A Elora, con amore… la tua mamma


Simona