Mi chiamo Cristina e lavoro come ostetrica presso gli Ospedali Riuniti di Bergamo. Da alcuni anni mi interesso
di un aspetto assistenziale molto delicato, quello del lutto in ostetricia, con particolare attenzione al tema della morte del bambino prima della sua
nascita. Quando si pensa al lavoro dell’ostetrica in ospedale, ciò che si presenta alla mente è l’immagine della nascita e del neonato, immagine che
nella sensibilità collettiva ha molteplici valenze simboliche intense e cariche di tenerezza, emozione, positività.
Nella realtà, l’ostetrica è non raramente chiamata a sostenere la donna e la coppia che si confronta con la perdita di un figlio prima della sua nascita, esperienza che risulta essere tra le più dolorose e traumatiche con cui una persona si possa confrontare: dove per gli altri c’è luce, felicità, apertura di infinite possibilità, per queste mamme e questi papà si apre un pozzo di dolore talmente intenso che chi ne fa l’esperienza non riesce spesso a trovare parole adeguate per esprimerlo, come se in queste situazioni l’espressione verbale fosse insufficiente e inadeguata. Per queste coppie c’è prima di tutto la perdita di un figlio, ma anche della maternità e paternità, della propria sicurezza, il fallimento della propria capacità riproduttiva. L’ostetrica in queste situazioni è chiamata a porsi accanto a chi è veramente “rotto dentro” e questo porsi accanto è gesto di deposizione, di delicatezza e di intenerimento.
Perché l’ostetrica possa arrivare a questa vicinanza emotiva ed empatica con la donna che vive una così profonda esperienza di lutto, è necessario che abbia la capacità di confrontarsi umanamente e professionalmente con l’esperienza del limite e della morte, per non cadere in atteggiamenti di negazione o di rifugio nel freddo tecnicismo, ma sapendo attenersi al quadro relazionale e comunicativo che, chi è nel dolore, stabilisce: insieme a un saper fare è importante un saper essere. È fondamentale che l’ostetrica rispetto all’esperienza professionale vissuta sappia darsi tempi e spazi di riflessione sia personali che con il gruppo di colleghe, questo perché la nostra crescita umana e professionale inizia con la formazione, continua con l’aggiornamento e l’elaborazione riflessiva dell’esperienza vissuta.
Il dolore conseguente alla morte del proprio figlio prima della nascita può essere particolarmente difficile da elaborare per la coppia. Il bambino non è mai vissuto fuori dall’utero e non ci sono ricordi, o meglio ci sono pochi ricordi da evocare. Il problema è ancora più accentuato se il bambino viene rapidamente portato via dalla sala parto e non viene data la possibilità ai genitori che lo desiderano di vederlo, tenerlo in braccio, chiamarlo per nome, stare del tempo con lui, o se l’ospedale, per qualsiasi ragione, si fa carico delle pratiche di sepoltura senza coinvolgere i genitori.
Studi di follow-up a lungo termine dimostrano che molte donne che hanno vissuto l’esperienza del lutto (fino a un quinto delle donne intervistate) presentano ancora gravi sintomi psicologici a distanza di anni dalla morte del figlio. I fattori di rischio più frequentemente citati sono: il fatto di non aver visto e preso in braccio il bambino nelle situazioni in cui la donna avrebbe desiderato farlo, la mancanza di supporto da parte del partner o della rete sociale, l’aver intrapreso immediatamente un’altra gravidanza.
Penso veramente che il nostro agire professionale possa essere molto d’aiuto alle coppie che si confrontano con un’esperienza così tragica, e che una mancanza di sensibilità e di professionalità intesa nel senso completo del termine possa accentuare dolore e sofferenza.
L’ostetrica è chiamata a proteggere e sostenere, informare e coinvolgere, e rispettare i tempi di elaborazione del lutto di ciascuno.
Proteggere e sostenere: la protezione e il sostegno permettono alla coppia di poter sentire ed esprimere il dolore, la sofferenza, la rabbia, il pianto, senza che queste emozioni vengano percepite come devastanti.
Informazione e coinvolgimento nelle scelte: per scegliere i genitori devono essere informati riguardo le diverse possibilità. L’ostetrica propone le diverse opzioni possibili, in modo che i genitori non debbano confrontarsi con il tragico rimpianto “Se solo avessi saputo prima…” I tempi di elaborazione del lutto possono essere prolungati se i genitori non sono coinvolti nei processi decisionali. Ogni proposta fatta richiede attenzione e delicatezza, evitando di trasformare la proposta in consiglio o obbligo. È importante che i genitori sentano che ci stiamo prendendo cura di loro e del loro dolore, rispettando la loro volontà, mettendoci a loro disposizione.
Ai genitori deve essere lasciato tempo per fare le loro scelte e tempo per fare ciò che sentono necessario. Molte decisioni non sono semplici da prendere e avere tempo a disposizione per riflettere e consultarsi a vicenda può essere molto d’aiuto.
Numerosi sono i momenti in cui l’ostetrica è chiamata alla vicinanza e al sostegno empatico della donna e della coppia: durante la comunicazione della notizia, nell’attesa dell’insorgenza del travaglio, nel momento del travaglio e del parto, durante l’incontro tra i genitori e il bambino, nella creazione dei ricordi (fotografie, braccialetto, ecc.), nel puerperio, al momento della dimissione, nel rientro a casa, nei gruppi di auto-aiuto.
Ogni momento meriterebbe uno specifico approfondimento, ma penso che l’attitudine interiore che sempre ci deve guidare sia la consapevolezza che ci troviamo di fronte a una gravidanza, a un parto, alla nascita di un bambino e al grande dolore di due genitori per la perdita di un figlio.
Maria Cristina Ravasio, ostetrica a Bergamo