Dopo nove mesi o dieci lune di vita insieme arriva il momento della partenza: mamma e bambino devono separarsi,
anche se solo per ritrovarsi di lì a poco. La grande avventura ha inizio. Se non ci sono interferenze, è il bambino che decide quando prendere congedo
dal corpo materno e imbarcarsi per il viaggio più straordinario e importante della sua vita.
Un viaggio su una corta distanza ma che può richiedergli ore e ore di fatica e il cui ricordo rimarrà impresso nella memoria fisica ed emotiva per tutto
il resto della sua esistenza. Pochi centimetri di percorso più intensi e coinvolgenti di una Parigi-Dakar… Il tunnel è breve ma stretto e buio, e
bisogna procedere soli.
La testa si piega in avanti mentre il cuore accelera sempre di più. Ecco le colonne d’Ercole: per oltrepassare il muro occorre chinare la testa e dire
sì. Un atto di sottomissione. Il più difficile. Poi è un attimo, la testa è fuori, si raddrizza di colpo. Un urlo fortissimo, una luce abbagliante: il
bambino è atterrato. Ancora stordito e stanco per l’intenso sforzo sembra dire “Datemi tempo!”. Ha bisogno di silenzio, di penombra, di calma per
riprendersi, per rendersi conto di cosa è successo, del grande cambiamento avvenuto. E soprattutto ha bisogno di ritrovare la mamma per capire che nel
nuovo mondo non è solo.
Ci sono bambini che nascono prima del tempo, perché qualcosa è venuto a turbare il loro soggiorno uterino: uno spavento, un forte dolore o un trauma
della mamma, anche solo il ricordo di un lutto, di una sofferenza passata, può far scatenare all’improvviso il travaglio.
Come se una nube tossica di colpo venisse a oscurare il cielo in cui vive immerso il bambino. A volte l’inquinamento è proprio ambientale: una mamma che
fuma eccessivamente in gravidanza rende l’utero un posto invivibile. Il feto fa fatica a crescere e svilupparsi e nasce a volte gravemente sottopeso. In
questi casi “speciali” si richiede un’attenzione e un’accoglienza particolari perché, ancora di più, il piccolo uscito dal guscio prematuramente ha
bisogno di ritrovare il contatto e il contenimento di cui non ha potuto beneficiare fino in fondo.
Perché la nascita avvenga nel migliore dei modi è fondamentale che si svolga nell’ambiente adatto, in un’atmosfera di intimità e senza intrusioni
esterne. Odent ci ricorda quanto siano importanti queste condizioni per permettere la produzione di quella miscela ormonale che lui chiama “il cocktail
dell’amore”, necessaria all’espletamento del parto. L’ossitocina, definita anche come l’ormone dell’amore, la prolattina, l’ormone del
maternage, e le endorfine, una sorta di morfine naturali, vengono tutte secrete dalla parte più profonda e antica del cervello (ipotalamo,
ipofisi ecc.) che noi umani abbiamo in comune con tutti i mammiferi. Ecco perché è importante durante il parto offrire alla donna un’atmosfera tale da
permettere il rilascio di queste sostanze e la messa a riposo invece della neocorteccia, la parte più recente, in termini evolutivi, del nostro
cervello.
Tutti gli stimoli ambientali, quali la luce, il rumore, il linguaggio verbale razionale, il fatto di sentirsi osservati, la paura e l’insicurezza,
agiscono sulla neocorteccia inibendo il processo del parto. Come ogni femmina di mammifero, anche la donna, quando si sente minacciata, secerne
adrenalina, l’ormone della sopravvivenza, che blocca il travaglio.