Due mani che sfiorano la pelle, che toccano con gesti sicuri, netti, puliti, dolci e un piccolo essere si apre alla
vita. Sboccia, come un fiore in primavera. Le membra si rilassano, le tensioni si allentano, il corpo addormentato a poco a poco si risveglia. Esce dal
letargo come un orso alla fine del disgelo.
All’improvviso c’è la percezione dei confini, dell’energia vitale che scorre dentro dal basso verso l’alto come la linfa di un albero attraverso le
radici.
Quando un cucciolo di mammifero viene al mondo, per prima cosa la sua mamma lo lecca. Non lo fa per motivi igienici ma semplicemente per aiutarlo a
“decollare”, per dargli una spintarella che lo aiuti ad affrontare la vita. Il leccamento negli animali serve a stimolare tutte le funzioni organiche
del neonato e ad aumentarne le difese immunitarie, in modo tale che cresca più resistente agli stress fisici ed emotivi dell’ambiente esterno. Gli
allevatori e i veterinari lo sanno bene: i piccoli privati di questa fondamentale esperienza vanno incontro a problemi e i topolini addirittura non
riescono a sopravvivere.
Nella specie umana la funzione propria del leccamento viene sostituita dall’energico massaggio dell’utero durante il travaglio. Le potenti contrazioni
uterine compiono sul bambino ciò che fa la lingua dei mammiferi sui cuccioli appena nati: li mette in moto, li risveglia alla vita. Si è visto in
effetti come i bambini nati con taglio cesareo, che non hanno quindi avuto l’esperienza di questa forte stimolazione cutanea prenatale, siano più
sonnolenti, meno pronti e reattivi di fronte al nuovo ambiente, al quale fanno più fatica ad adattarsi.
Il neonato, dunque, nasce affamato di contatto. La sua pelle, delicatissima, ha fame di carezze, dolci, lievi, leggere. Come brezza di primavera. Il suo
corpo tenero, nuovo, appena dischiuso come un bocciolo, ha bisogno di essere toccato, massaggiato, sostenuto, cullato. Questo è il vero nutrimento per
un bambino che si affaccia alla vita, ancora più essenziale del cibo: il digiuno di latte è sopportabile, non quello di contatto.
La privazione dell’esperienza del tocco e del contenimento nei primi tempi di vita procura ferite che impiegano anni a cicatrizzare e comunque lasciano
il segno. È come quando cade una maglia allorché si lavora ai ferri: se non la si ritira su subito, rimane il buco.