CAPITOLO I

Come funziona il seno

A discrezione del consumatore

Mezzo secolo fa era opinione tanto diffusa quanto errata pensare che la quantità di latte prodotta da ogni donna fosse fissa: alcune hanno tanto latte e altre poco latte. Ad alcune il latte durava una settimana, ad altre due mesi e poi scompariva: il deposito si era svuotato. Chiaramente, si poteva anche avere latte buono o latte cattivo. Erano cose che si avevano o non si avevano. Se hai tanto latte e buono, hai avuto fortuna, e potrai allattare, e tuo figlio crescerà grande e bello. Se hai poco latte, o un latte annacquato, non c’è soluzione: per fortuna che hanno inventato i biberon! Niente che la madre faccia o smetta di fare influisce sul risultato; se conoscevi alcune madri che avevano allattato per più di tre mesi (che a quei tempi era un atto eroico), o per più di sei (il che era assolutamente una bizzarria), non ti veniva in mente di chiederle: “Spiegami come hai fatto, piacerebbe anche a me poter allattare mio figlio”, ma si commentava con una certa invidia: “Che fortuna, tu che hai latte! Magari ne avessi avuto anch’io per allattare mio figlio!” (Beh, a dire il vero il commento più frequente era: “Non capisco perché ti sacrifichi allattando al seno, io l’ho fatto col biberon ed è diventato splendido”).


E non è molto strano che in Europa quasi nessuno abbia latte, mentre in Africa quasi tutte le madri ce l’abbiano? Certo, è questione di razza; le nere hanno più latte, come le gitane; invece noi bianche non ce l’abbiamo (alcuni aggiungevano che, certo, le nere e le gitane appartenevano a razze primitive). E allora perché le nostre nonne (le nonne di mezzo secolo fa, le bisnonne o trisavole del lettore) avevano latte, se erano della nostra stessa razza? Su questo punto le spiegazioni si dividevano. Per alcuni erano le preoccupazioni della vita moderna la causa della fine dell’allattamento (parleremo meglio di questo a pag. 23), per altri era l’evoluzione della specie in azione: l’organo che non si usa si atrofizza e presto nasceranno bambine senza seno (ah, però… forse che prima nascevano col seno?).


Come nei cartoni animati, dove gli animali si trasformano in cinque minuti. Però non è così che funziona l’evoluzione. In realtà, i caratteri acquisiti non si ereditano (vale a dire, anche se si susseguissero cento generazioni di madri che non danno il seno, la centounesima avrebbe gli stessi geni e lo stesso seno, e potrebbe utilizzarlo se volesse e sapesse come). E anche se, a causa di una mutazione, ci fosse una donna senza latte (il che può accadere ed è di fatto accaduto, si veda a pag. 168), questa avrebbe una o due figlie, due o tre nipoti… Ci vorrebbero migliaia di anni perché una parte consistente della popolazione arrivasse ad avere questo gene mutante che provoca la mancanza di latte, e occorrerebbe soprattutto un vantaggio riproduttivo: che le donne senza latte avessero molti più figli, o che i loro figli sopravvivessero con maggior facilità. Senza vantaggio evolutivo, una mutazione non ha alcun motivo per estendersi; dopo migliaia di anni potrebbe avere solamente una manciata di discendenti. Nelle classi medie dei paesi industrializzati dell’ultimo trentennio del XX secolo, l’ipotetico gene del non avere latte non possiede alcun vantaggio riproduttivo. Al contrario, per milioni di anni e ancora oggi nella maggior parte del mondo, se la madre possiede poco o cattivo latte, è molto probabile che i suoi figli muoiano (a meno che un’altra donna offra loro il proprio seno). Qualsiasi possibile gene mutante, lungi dall’estendersi, sarebbe stato rigorosamente eliminato. Per questo ci sono così poche donne senza latte.


No, non ci siamo evoluti; abbiamo gli stessi geni dei nostri trisavoli. Abbiamo gli stessi geni degli abitanti delle caverne di Altamira1. E una produzione di latte fissa o limitata nel tempo non sarebbe compatibile con i fatti comunemente osservati.