CAPITOLO XVI

Malattie del bambino

Ittero

L’ittero è il colore giallognolo della pelle e delle mucose (si nota specialmente nel bianco dell’occhio), dovuto all’accumulo di bilirubina.


La bilirubina è un derivato dell’emoglobina. I globuli rossi (eritrociti o emazie), che contengono emoglobina, hanno una vita molto breve, di solo quattro mesi. Muoiono e sono sostituiti da altri nuovi. L’emoglobina, quando non si trova all’interno del globulo rosso, è tossica, e l’organismo si affretta a distruggerla. Viene separata la parte proteica, il ferro (che viene riciclato per formare altri globuli rossi), e ciò che rimane viene trasformato in bilirubina. Tanto lavoro per nulla, perché è ancora tossica e bisogna espellerla.


La bilirubina è liposolubile (si scioglie nei grassi), e pertanto non si può eliminare né attraverso l’urina né attraverso la bile, perché entrambe sono formate da acqua con elementi disciolti. Fortunatamente il fegato è in grado di unire (coniugare) la bilirubina con altre sostanze; la bilirubina coniugata si può così sciogliere in acqua, ed essere espulsa attraverso la bile. Il colore tipico delle feci si deve alla bilirubina (per questo, in alcune malattie del fegato, i depositi sono bianchi).


La bilirubina coniugata non può essere assorbita dall’intestino. Ma all’interno dell’intestino, parte della bilirubina si separa, torna ad essere liposolubile e si può così riassorbire. Si tratta del ciclo enteroepatico della bilirubina.


Tutto questo succede nei bambini e negli adulti, ma non nei feti. Il feto non evacua nell’utero (in alcuni casi lo fa, l’ultimo giorno, durante il parto, e questo indica una sofferenza fetale), e pertanto non può eliminare la bilirubina attraverso la bile. La bilirubina del feto deve passare attraverso la placenta, ed è il fegato della madre che la elimina. E per attraversare la placenta deve essere liposolubile. Il fegato del feto non riesce a coniugare la bilirubina. Per niente, neanche in piccola parte. Perché tutta la bilirubina che verrebbe coniugata rimarrebbe lì, senza possibilità di attraversare la placenta, e si accumulerebbe fino a uccidere lo stesso feto.


Improvvisamente il bambino nasce e tutto cambia. I suoi polmoni erano pieni d’acqua e ora devono riempirsi d’aria. Riceveva tutto il suo nutrimento attraverso la placenta e ora deve mangiare, digerire e metabolizzare ciò che ha ingerito. I suoi reni non espellevano sostanze tossiche (il liquido amniotico è principalmente urina del feto…ma non contiene nulla di tossico, perché deve berlo di nuovo) e ora devono iniziare a farlo. E allo stesso tempo, il fegato deve mettersi a coniugare la bilirubina. Tutti questi cambiamenti vengono messi in atto dal neonato simultaneamente, in modo tanto rapido e perfetto che la maggioranza dei bambini non ha alcun problema.


Per un certo periodo il fegato non funziona al 100% delle sue capacità. Si mette in moto lentamente, e in quei giorni la bilirubina si accumula e i bambini diventano un po’ giallognoli. Nulla di grave. Forse questa lenta attivazione del fegato non è uno sbaglio di programmazione, ma avviene di proposito. La bilirubina è dannosa per l’adulto, ma nel neonato agisce come antiossidante. È conveniente per il neonato essere un poco giallo, ma non troppo, perché un eccesso di bilirubina può danneggiare gravemente il cervello (kernicterus).


Ciò che non aveva previsto la natura è che il neonato fosse separato dalla madre, che gli venissero dati ciucci e biberon e che non avesse il permesso di poppare se non ogni quattro ore. I bambini che poppano poco evacuano poche volte al giorno, e quindi la bilirubina che era già stata coniugata ed espulsa attraverso la bile resta nell’intestino per molte ore, e viene riassorbita. Il fegato non riesce a provvedere alla quantità di bilirubina che torna dall’intestino, e il bambino diventa più itterico. Questo è ciò che si conosce come ittero dell’allattamento materno (breastfeeding jaundice), anche se qualcuno suggerisce che dovrebbe chiamarsi ittero per mancanza di allattamento materno. Il modo migliore di evitare che l’ittero aumenti è cominciare bene l’allattamento: prima poppata in sala parto, bambino nella camera della madre ventiquattro ore su ventiquattro, allattamento a richiesta, infermiere e ostetriche in grado di aiutare la madre a posizionare correttamente il bambino al seno.


Dato che un po’ di bilirubina fa bene al bambino, il latte materno contiene una sostanza che facilita la disgregazione della bilirubina nell’intestino. Mentre l’ittero sparisce completamente in circa una settimana nei bambini che prendono il biberon, i bimbi allattati al seno possono rimanere visibilmente gialli per alcune settimane, o anche per due o tre mesi. È quel che viene chiamato itterizia del latte materno (breast milk jaundice). È un pasticcio terribile, e voglio pensare che da qui a pochi anni qualche scienziato americano cambierà il nome, ma per ora è quel che è.


Alcuni pediatri, che non hanno esperienza di cos’è un bimbo allattato normalmente al seno (anni fa ce n’erano così pochi…), si spaventano di fronte all’ittero prolungato e si impegnano a fare analisi su analisi. Non serve. Quando un bimbo sembra molto giallo, si richiedono delle analisi, e se i risultati sono davvero alti (diciamo 18 mg/dl), è ragionevole ripeterle dopo un paio di giorni per assicurarsi che non salgano ulteriormente. Ma se verifichiamo che si sono parzialmente abbassati, basta. Non serve ripetere le analisi per assicurarsi che la quantità va diminuendo da 16, a 13, a 11, a 8,5, a 7… Sappiamo già che i risultati continueranno lentamente a scendere, ma che potranno impiegarci diverse settimane.


Quasi un terzo dei bambini sani che rimangono gialli per più di un mese sono affetti dalla sindrome di Gilbert. Si tratta di una variazione genetica (non è una malattia, potranno vivere cent’anni) che colpisce la coniugazione della bilirubina nel fegato. È ereditaria. Gli adulti con la sindrome di Gilbert possono avere lievi attacchi di itterizia di tanto in tanto, che si manifestano a volte in presenza di altre malattie (un’influenza o qualcosa del genere). Il problema è che ogni volta il medico si spaventa e inizia a richiedere analisi pensando che si tratti di un’epatite. È un sollievo conoscere quel che abbiamo e sapere che non ci dobbiamo preoccupare. Se nella vostra famiglia si sono manifestati casi di sindrome di Gilbert (o se ci sono casi sospetti, persone che ogni tanto sono colpite dall’ittero e non è stato riscontrato loro nulla), ditelo al vostro pediatra.


Dato che la bilirubina non si elimina attraverso l’urina, ma per mezzo del fegato, bere più acqua è inutile. Il siero glucosato non serve né a prevenire né a curare l’ittero.


Quando i livelli di bilirubina sono molto alti, si pratica la fototerapia. La luce di speciali lampade agisce sulla pelle, distruggendo la bilirubina. Non c’è alcun motivo che il bambino venga ricoverato nel reparto dei prematuri se ha solo bisogno di fototerapia; le lampade utilizzate sono provviste di ruote, e si possono portare nella camera della madre. Insistete affinché lascino il bambino nella vostra stanza. Bisogna allattarlo molto spesso, primo, perché si abbassi la bilirubina, e secondo, perché con il calore delle lampade il bambino ha bisogno di più liquidi (generalmente è sufficiente allattarlo di più, ma in alcuni casi è necessario dargli anche acqua). Decenni fa si pensava che, in caso di ittero, bisognasse smettere di allattare per uno o due giorni. Ci sono ancora medici che lo raccomandano, ma è stato dimostrato che in realtà non è necessario. Neanche quando l’ittero è causato da altre malattie, o da un’incompatibilità di Rh, bisogna interrompere l’allattamento.


In casi rarissimi, quando i livelli di bilirubina sono talmente alti che ci sono seri pericoli per il bambino, bisogna fare un’esanguinotrasfusione, cioè prelevargli tutto il sangue e sostituirlo con sangue nuovo. È molto raro che succeda con un’itterizia normale, dovuta semplicemente al fatto che il bambino poppi poco (ciò che chiameremo itterizia fisiologica, o parafisiologica, quasi normale). Ma esistono molte altre cause che provocano l’ittero: problemi di Rh e gruppo sanguigno, problemi al fegato, infezioni… In ospedale, a seconda dell’età del bambino e dei sintomi riscontrati, si occuperanno già di fargli analisi specifiche per assicurarsi che non abbia nulla di grave.


Oggi, in bambini sani di tre o quattro giorni, normalmente non si fa fototerapia finché la bilirubina non sale a 20, o un’esanguinotrasfusione se non è almeno a 25 o ancora più alta. In passato si faceva la fototerapia molto prima, ma è stato verificato che non è necessario. Certo, nei bambini malati, o prematuri, o più piccoli di tre giorni, l’itterizia è più pericolosa e bisogna curarla tempestivamente.


Oggi i bambini sono dimessi dall’ospedale così in fretta che non fanno in tempo neanche a diventare gialli. Fate caso al colore di vostro figlio quando uscite dall’ospedale: la testa, i piedi, gli occhi. Se a casa, dopo qualche giorno, notate chiaramente che è più giallo, rivolgetevi al centro sanitario più vicino o tornate in ospedale. È necessario osservare sempre con una buona luce naturale, perché la luce artificiale a volte è gialla e può ingannare.


Ci sono ancora molti medici e infermiere che consigliano alla madre di mettere il bambino al sole perché l’itterizia si abbassi. È un errore. In ospedale, una fototerapia dura ventiquattr’ore su ventiquattro (si toglie il bambino dalla lampada solo per dargli da mangiare). Ma un bambino non dovrebbe stare alla luce diretta del sole per più di dieci minuti senza una protezione; se lo lasciate un’ora al sole potrebbe avere gravi ustioni… e oltretutto l’itterizia non si sarà abbassata, perché un’ora di esposizione non è sufficiente. Non fateci caso; o vostro figlio ha bisogno di fototerapia (e allora dovranno fargliela in ospedale), o non ne ha bisogno (e allora non dovrà neanche prendere il sole). Quello di cui ha bisogno è di essere allattato tanto.


American Academy of Pediatrics Subcommittee on Hyperbilirubinemia, Management of hyperbilirubinemia in the newborn infant 35 or more weeks of gestation, in “Pediatrics”, num. 114, 2004, pp. 297-316.


http://pediatrics.aappublications.org/content/114/1/297