CAPITOLO XI

I fattori della salute:
alimentazione e ambiente

Nutrire l’intelligenza

Vorrei dedicare questa sezione al rapporto tra alimentazione e salute. Ciò che mi preme chiarire, tuttavia, non è semplicemente il concetto, di per sé davvero molto scontato, che mangiare cibi sani fa bene alla salute, quanto il fatto che alimentazione, ambiente e stile di vita dovrebbero costituire i caposaldi su cui si fonda la politica sanitaria di un Paese, in particolare quella parte della politica sanitaria che riguarda la prevenzione, attirando l’attenzione e le risorse che, all’opposto, più forti interessi economici calamitano verso altre direzioni (vaccini e farmaci), con aggravi spaventosi dei bilanci nel settore sanitario, cui non corrispondono proporzionati benefici per i pazienti (che, come ho già notato altrove, sono a un tempo anche contribuenti). Ciò richiede la diffusione di una visione olistica, ossia complessiva, dell’uomo nel suo rapporto con la civiltà attuale.


Quest’ultima rappresenta una delle epoche più straordinarie della storia umana grazie, principalmente, al progresso della conoscenza e della tecnologia in tutti i campi. Abbiamo raggiunto traguardi inimmaginabili soltanto pochi decenni fa nel settore della medicina, delle telecomunicazioni, delle biotecnologie, della robotica. Cosa ancora più rilevante, buona parte di questi progressi non ha impiegato intere generazioni per essere disponibile all’intera società, senza distinzioni di fasce di reddito, ma si sta diffondendo in modo sempre più generalizzato e relativamente democratico. Un sistema produttivo avanzato serve per l’appunto a mettere i risultati più recenti della tecnica alla portata del numero più vasto possibile di persone. Vivere circondati da prodotti derivati dall’industria e dalla tecnologia è dunque tutt’altro che un male. Ma sostituire, per condizionamento culturale o economico, un prodotto frutto di tecnologia a uno ottenibile naturalmente non è un bene per principio. Come dimostrano infiniti esempi nel nostro modo di vivere, a un uso razionale e assennato di ciò che scaturisce da un artificio tecnologico, è subentrato un uso che definirei caricaturale, compulsivo e ossessivo di ciò che è artificiale, complice la tendenza dell’industria stessa e dei suoi apparati pubblicitari a creare negli individui la sensazione che un qualsiasi bisogno di vita venga soddisfatto in modo più appagante con metodi artificiali anziché con metodi naturali. È caricaturale, ad esempio, che si preferisca abbronzarsi tramite lampade artificiali, piuttosto che sforzandosi di trascorrere più tempo all’aria aperta. È altrettanto assurdo demandare sistematicamente agli impianti di condizionamento il problema delle alte temperature estive nelle abitazioni private, anziché imporre nelle politiche abitative modalità di costruzione e materiali edilizi tali da garantire agli edifici quelle caratteristiche qualitative che le case di qualche secolo fa già avevano, ossia di essere vivibili anche d’estate.


Ugualmente grottesco è che tanta gente si iscriva a piscine e palestre e poi inforchi il motorino per coprire distanze tranquillamente percorribili in bicicletta o a piedi e senza vie trafficate: ma andare in palestra crea l’illusione di condurre uno stile di vita al passo con i tempi, e il motorino è, soprattutto per i più giovani, l’oggetto del desiderio artificialmente creato da note industrie.


Di questo diverso modo di guardare al rapporto tra dimensione naturale e dimensione artificiale fa parte anche l’uso dei farmaci antinfluenzali, frutto di un concetto altrettanto artefatto di buona salute: la buona salute non consiste, infatti, nel non ammalarsi di influenza, ma nell’avere un sistema immunitario capace di superarla nei tempi che madre natura richiede, pur coadiuvata da semplici rimedi per alleviarne il disagio. Altrettanto dicasi, dunque, per l’alimentazione: nessun fanatismo per il biologico, come spiegherò più oltre, ma nemmeno un acquisto acritico di prodotti cui affidiamo il compito di nutrirci e che, invece, originano da luoghi così remoti, hanno subìto trattamenti così aggressivi e processi di produzione così artificiali da costituire semplici simulacri di alimenti.


Non si tratta, dunque, di proporre il ritorno ad un sistema di vita arcaico e di fatto impraticabile nella realtà odierna. Si tratta di apprezzare la civiltà industriale avanzata per tutto quello che sa darci di buono, rifiutando di prenderne il cattivo, o riducendolo al minimo. L’industria alimentare, in particolare, deve necessariamente porre al centro il benessere reale del consumatore. Il compito di controllare che questo avvenga è delle autorità sanitarie, ma solo entro un certo limite. Le nostre scelte come consumatori determinano inevitabilmente gli orientamenti della produzione: consumatori disattenti, o fortemente condizionati da messaggi pubblicitari, creano un sistema produttivo consapevole della propria forza di manipolazione, e viceversa. Identico discorso si può fare per la salute: essere consapevoli della distanza esistente tra ciò che il nostro benessere reale richiede e i bisogni indotti dall’industria farmaceutica è indispensabile per garantire non solo la salute nostra, ma anche quella dell’intero sistema sanitario, troppo spesso colonizzato da generi di affari che con la salute dell’individuo hanno ben poco a che fare.


Lo scopo, allora, diviene quello di creare, fin da quando si è piccoli, una cultura dell’intelligenza critica applicata a qualsiasi campo della vita per avere, un giorno, una società di adulti che aspiri davvero al meglio sotto il profilo qualitativo, e non solo quantitativo; che non si lasci rendere schiava, e ridicolizzare, dai condizionamenti culturali, senza al tempo stesso cadere nell’anticonformismo di maniera, né acconsenta a farsi docile strumento di interessi economici, a scapito della salute propria e della collettività, né affidi queste ultime alla sola politica sanitaria dei governi, ma la tuteli quotidianamente, facendo sentire la propria voce anche quando deve semplicemente scegliere un cibo da uno scaffale di supermercato.