Svezzare i pazienti per tutelarli
Credo che affidarsi a qualcuno che possiede conoscenze superiori alle nostre, quando si ha un problema di salute, non sia una semplice necessità, ma perfino un bisogno innato nell’uomo, fin da quando erano gli sciamani, non i dottori, a curare gli ammalati. Per molti pazienti, del resto, le pillole prescritte dal medico, l’indicazione dell’ora del giorno in cui prenderle o particolari raccomandazioni riguardanti la dieta costituiscono un insieme di pratiche non molto diverse dalla magia, in quanto seguite un po’ alla cieca, in base alla semplice fiducia nel proprio medico curante. I dottori, in fondo, servono a questo, a mettere a nostra disposizione le conoscenze accumulate nel corso di anni di studio e di pratica per soccorrerci nei casi gravi, e per salvaguardare la nostra salute nel decorso normale della vita. La fiducia che si ripone nel medico è parte integrante della terapia che egli ci prescrive, in quanto condiziona il nostro stato d’animo e contribuisce, quindi, a determinare l’esito delle cure.
In un certo senso, questo rapporto stretto di fiducia, quasi di fede, tra medico e paziente sembra venire incrinato da chi, come il sottoscritto, insiste sulla necessità che, nella somministrazione dei vaccini come di qualsiasi altro farmaco o terapia, il paziente scelga in modo consapevole e sulla base di un’informazione accurata. Questo diverso modo di impostare la relazione tra medico e paziente suscita spesso disagio per una serie di motivi. Da parte del medico perché esiste il semplice dato di fatto che un “dottore” ne sa ben più di un paziente, e dunque ritiene di non potersi mettere a discutere con costui della terapia da seguire negli stessi termini con cui ne discuterebbe con un collega. Per forza di cose, insomma, il rapporto non è alla pari: chi fornisce le informazioni è il medico, e il paziente finisce sempre con il dover fare un atto di fiducia nei suoi confronti quando le accoglie, né si sente mai pienamente giustificato se le rifiuta. In secondo luogo, la maggior parte dei pazienti avverte il bisogno umano e psicologico, cui accennavo sopra, di mettersi nelle mani di qualcuno che venga reputato competente e di sentirsi così al sicuro da ogni rischio.
Pur tuttavia, e per quanto possa risultare disagevole, occorre superare un rapporto di dipendenza di questo genere perché, paradossalmente, esso va a scapito dell’elemento più fragile, ossia la famiglia e i pazienti.