Affrontare la questione della posizione politica di Maria Montessori significa trovarsi di fronte a una matassa non
facile da dipanare. La sua collocazione non è affatto scontata. Ad alcuni intellettuali di sinistra è apparsa una sorta di imprenditrice dell’educazione
impegnata a estendere la fitta rete di scuole private che in tutto il mondo recavano il suo nome anche grazie al circuito di amicizie altolocate dalle
quali otteneva generoso sostegno. A destra, invece, allora come adesso, la rinuncia all’esercizio dell’autorità e la centralità assunta dal principio
dell’auto-educazione sono state guardate con sospetto, interpretate come le premesse di pericolosi rivolgimenti sociali e perfino come indizio di occulte
suggestioni anarchiche. Inoltre, su un piano strettamente teoretico, l’importanza da lei attribuita all’approccio sperimentale e sensoriale non poteva
trovare favorevole accoglienza presso gli esponenti dell’idealismo pedagogico che consideravano come vera pedagogia scientifica solo quella che pensava
l’educazione e l’uomo in termini di spirito. Il modello montessoriano si scontrava inevitabilmente con una concezione della vita scolastica imperniata sul
rapporto tra maestro e allievo, in cui la superiorità sovrastante del primo era fondata sul suo essere giunto a un più alto grado di maturità
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