Divenuta capitale d’Italia nel febbraio del 1871, agli inizi del nuovo secolo Roma sta tentando, seppur
faticosamente, di affrancarsi dalla condizione di marginalità cui era stata relegata sotto il potere temporale e di colmare il profondo divario che la
separa dalle moderne metropoli europee. La città deve far fronte alla vertiginosa crescita edilizia e demografica conseguente al suo nuovo
status e gestire una popolazione che in trent’anni si è letteralmente raddoppiata. Una decisa svolta è rappresentata dall’elezione a
sindaco di Ernesto Nathan, ebreo repubblicano di origini inglesi che, sostenuto da una larga maggioranza formata da liberali di sinistra, radicali,
repubblicani e socialisti, siede al Campidoglio dopo la lunga serie di nobili fedeli al Vaticano. È il sintomo della rapida trasformazione di una società
che si avvia a una irreversibile laicizzazione. La nuova amministrazione vara un ambizioso piano d’istruzione primaria nel segno della più rigorosa
neutralità confessionale. Nathan è infatti convinto assertore della necessità che le istituzioni pubbliche riprendano il controllo del comparto educativo,
tradizionale appannaggio delle strutture cattoliche. Sotto la sua sindacatura vengono aperti ben 150 asili comunali che provvedono – dettaglio non
trascurabile per quegli anni – anche alla refezione dei bambini. Nascono piccole biblioteche, laboratori scientifici di base e sale per le proiezioni
cinematografiche.