Prefazione

Maria Montessori scrisse gli articoli raccolti in questo piccolo volume di semplici e tuttavia profondissime parole perché i genitori fossero attratti e desiderassero vedere con i propri occhi i risultati di un nuovo approccio ai bambini. Sin dai primi del ’900, a partire dall’inizio del suo lavoro pedagogico a Roma, era esploso l’interesse verso le sue idee e pratiche educative. Nei primi anni ’30, al tempo in cui i testi raccolti in questo libro furono scritti, le scuole Montessori erano proliferate in tutta Europa, in alcune parti dell’Asia, in Nord e Sud America, e persino in Australia.


Nondimeno, le scoperte pedagogiche di Montessori relative alla capacità dei bambini di autoeducarsi erano talmente radicali che i fraintendimenti, a proposito delle scuole fondate in suo nome, abbondavano. Ancora oggi, i genitori hanno di solito l’idea errata che le scuole Montessori siano luoghi in cui i bambini vengono lasciati a se stessi; liberi di fare tutto ciò che vogliono, incapaci di sviluppare l’autocontrollo e la disciplina.

Nei primi anni ’60 a Cincinnati, in Ohio, sono stata anch’io uno di questi genitori. Avevo studiato pedagogia all’università e insegnavo in una seconda elementare di una scuola pubblica; all’epoca ero già madre di quattro bambini sotto i sette anni. Incoraggiata da un’amica entusiasta, lessi un libro sulla Montessori, le sue idee e il suo operato – una biografia della sua collega inglese E. M. Standing1. Ricordo con chiarezza che alla fine della lettura dissi a me stessa: “Ma i bambini non sono così!”. Poi capitò un evento fortuito. Il direttore della scuola che frequentavano i miei due figli maggiori, un uomo che stimavo molto, mi chiese se volevo diventare assistente in una classe Montessori che stava per essere avviata nella sua scuola. Il primo anno avrebbe interessato sedici bambini di 3 e 4 anni, per poi diventare, nel secondo anno, una classe completa di venticinque bambini dai 3 ai 6 anni. L’insegnante aveva ricevuto una formazione Montessori in Francia prima della Seconda Guerra Mondiale, più di recente era stata maestra di scuola materna negli Stati Uniti e quell’estate avrebbe frequentato un corso di aggiornamento sulla pedagogia Montessori, accreditato dall’Associazione Internazionale Montessori (AMI), la cui sede è ad Amsterdam, in Olanda. L’incontrai e mi colpirono la sua esperienza e formazione, perciò accettai l’incarico.


Il mio iniziale scetticismo a proposito dell’approccio Montessori si trasformò in meraviglia mentre assistevo alla trasformazione dei bambini, dall’autunno alla primavera, in questa nuova classe. Questi bambini disattenti, che sembrava non sapessero come impiegare in modo significativo il loro tempo senza l’aiuto e l’intervento costante degli adulti, erano diventati sempre più indipendenti, concentrati e sicuri di sé nel lavoro che si erano scelti. Soprattutto, ora erano rilassati e soddisfatti, gentili gli uni con gli altri; era una vera gioia stare insieme a loro. Li aiutavo al bisogno ma per la maggior parte del tempo non facevo che osservarli e studiare ciascuno di essi, prendendo degli appunti che avrei poi condiviso e discusso con l’insegnante.


Il mistero divenne, allora, per me: “Perché le idee e l’esperienza della Montessori erano state così fraintese nell’ultimo mezzo secolo? Perché il suo nome non era stato neppure menzionato quando seguivo i miei corsi universitari di pedagogia?”. La risposta è proprio in questo volume, e viene dalle parole stesse della Dottoressa: “Dico cose rivoluzionarie!”. Trent’anni di lavoro con i bambini “mi hanno insegnato a ribellarmi contro le idee sbagliate e obsolete in cui molti genitori ancora credono.” (p. 65). La Montessori aveva scoperto, per esempio, che i bambini amano davvero lavorare – e lavorare sodo per raggiungere un’indipendenza e capire il mondo che li circonda. Amano l’ordine, e se vengono offerti loro oggetti da manipolare ed esplorare li classificano per misura e forma utilizzando i molti sensi di cui sono dotati. Oltre a ciò, riportano i materiali al loro posto per poterli ritrovare in seguito. Persistono di buona lena in questo tipo di “lavoro” che agli adulti sembra quasi un gioco. La conseguenza è che sviluppano la qualità della perseveranza dentro se stessi e, nelle parole di Maria, “l’inizio di una forza di volontà” (p. 67). La chiave affinché si realizzi tutta questa positiva autoeducazione del bambino è la predisposizione del giusto contesto ambientale. I bambini non possono formare se stessi dal nulla. È stato il genio della Montessori a definire nel dettaglio in cosa esattamente dovesse consistere quel contesto benefico, e lo fece a partire dai suoi studi e dalle sue osservazioni di bambini in tutto il mondo, qualunque fosse la loro estrazione sociale, nel corso di tutta la sua lunga e proficua vita.


Come adulti, siamo una parte significativa dell’ambiente in cui si muove il bambino. Nelle pagine iniziali del libro la Dottoressa ci coglie di sorpresa, dichiarando che dobbiamo prima cambiare noi stessi se vogliamo aiutare i nostri figli nella maniera più corretta. Afferma che siamo abituati a pensare di dover essere noi a plasmare il bambino dal di fuori, anziché capire che in realtà sono i bambini a dover formare se stessi. Si tratta, in sostanza, di una questione di rispetto del bambino, delle sue forze innate e della sua capacità di autoeducazione. Quando impariamo a osservare e riconoscere queste forze che agiscono nel bambino, iniziamo gradualmente a vedere molti modi in cui, senza avvedercene, poniamo ostacoli sul suo cammino di pieno sviluppo verso la maturità dell’infanzia, attorno ai dodici anni, e la maturità della giovane età adulta, verso i diciotto. Maria Montessori scrive che quando ci correggiamo il bambino “mostra un carattere diverso, i tratti peculiari di una creatura spirituale” (p. 19). Ancora una volta, è il lavoro prolungato e la concentrazione, scelti liberamente dai bambini, e perciò stesso riflesso dei loro interessi innati, a produrre questa trasformazione nella personalità e nel comportamento. Per aiutare il bambino nel suo lavoro concentrato, l’adulto non deve mai perdere di vista l’ambiente che lo circonda, assicurandosi che questo sia d’aiuto e non d’ostacolo a una buona scelta delle attività. Alcuni bambini, lasciati liberi di agire nel giusto ambiente, necessitano di un aiuto minimo da parte dell’adulto; altri hanno bisogno di un’attenzione maggiore. Tutti i bambini sono unici e il giusto equilibrio di direttive, tra offrire un aiuto o rappresentare un ostacolo, si impara solo attraverso l’osservazione e l’esperienza. Una cosa, tuttavia, è ben chiara: Maria ha affermato con decisione: “Non pensate neppure per un istante che io affermi che un bambino debba sempre fare ciò che vuole.” (p. 54).


Ora, non si tratta solo di un mezzo secolo; sono trascorsi più di cento anni da quando per la prima volta la Montessori ha annunciato la sua rivoluzione nel pensiero e nella prassi pedagogica. Eppure, le sue idee e la visione storica dello sviluppo umano – una visione che ha frainteso moltissimo il serio proposito dei primi ventiquattro anni della vita umana – sono ancora diametralmente opposti. Il serio proposito è quello dell’autoeducazione di ciascun individuo unico in un adulto maturo, pronto ad assumersi le responsabilità della società adulta. Montessori descrive questo individuo maturo di ventiquattro anni come qualcuno che sia adattato al suo tempo, al suo luogo e alla sua cultura, “In grado di esercitare liberamente, con autodisciplina, la volontà e il giudizio, non sviato da pregiudizi e non distorto da paure”2. A dispetto delle sorprendenti scoperte nel campo delle neuroscienze, e di tutte le ricerche ora disponibili in biologia, pedagogia e psicologia – che svelano la realtà dei processi di autoeducazione nell’uomo – in tutto il mondo gli adulti, sia a casa sia a scuola, cercano ancora di plasmare i bambini e i giovani dal di fuori, utilizzando ricompense e punizioni per costringerli a stare seduti fermi e ascoltare, anziché dare libero sfogo all’energia umana che è dentro di loro, per scoprire ed esplorare il mondo da soli3.