Hanno bisogno di dire “No”.
Una delle più importanti fasi evolutive attraversate dai bambini piccoli è la “crisi di autoaffermazione”. Fra i 18 mesi e i 3 anni i bambini capiscono di avere un’identità separata rispetto a quella dei genitori e iniziano a desiderare maggiore autonomia. Allo stesso tempo iniziano a dire di no e a utilizzare il pronome “io”.
Questo movimento verso l’indipendenza non giunge con facilità. Ci saranno giorni in cui ci spingeranno via, desiderando fare tutto da soli, altri in cui si rifiuteranno di fare alcunché oppure ci staranno appiccicati.
Hanno bisogno di muoversi. Proprio come un animale che non ama stare in gabbia, i piccoli non resteranno fermi a lungo. Vogliono esperire il movimento, esercitarsi per padroneggiarlo. Una volta che imparano a stare in piedi, proseguiranno camminando e arrampicandosi. Quando sapranno camminare vorranno correre e spostare oggetti pesanti, più pesanti sono e meglio è. Esiste persino un nome per il desiderio di sottoporsi a sfide al massimo grado, per esempio trasportando grossi oggetti o spostando borse pesanti e mobilio: massimo sforzo.
Hanno bisogno di esplorare e scoprire il mondo che li circonda. L’approccio Montessori raccomanda di accettare questa cosa, di predisporre gli spazi affinché il bambino possa esplorare in sicurezza, di coinvolgerlo nelle attività quotidiane che implichino l’uso di tutti i sensi, e di permettergli di esplorare l’esterno. Lasciare che scavi nella terra, che si tolga le scarpe sul prato, che giochi con l’acqua e corra sotto la pioggia.
Hanno bisogno di libertà. Questa libertà li aiuterà a crescere per imparare con curiosità, per sperimentare le cose da sé, per fare scoperte, e per sentire di avere il controllo su se stessi.
Hanno bisogno di limiti. Questi limiti li terranno al sicuro, insegneranno loro a rispettare gli altri e l’ambiente che li circonda, li aiuteranno a diventare esseri umani responsabili. I limiti aiutano anche l’adulto a intervenire prima che un confine sia superato, per evitare il fin troppo familiare sgridare, biasimare, arrabbiarsi. L’approccio Montessori non è né permissivo né autoritario; insegna piuttosto ai genitori ad essere delle guide calme per i propri figli.
Hanno bisogno di ordine e costanza. I bambini piccoli preferiscono che le cose si ripetano uguali ogni giorno: la stessa routine, le cose allo stesso posto, le stesse regole.
Li aiuta a capire, a discernere il loro mondo e a sapere cosa aspettarsi. Quando i limiti non sono costanti, i bambini continuano a testarli per vedere cosa decidiamo di volta in volta. Se scoprono che assillare o fare scenate funziona, proveranno di nuovo. Si chiama rinforzo intermittente.
Se riusciamo a capire questo bisogno, avremo più pazienza, maggiore comprensione.
E se non saremo in grado di proporre la stessa cosa tutti i giorni, saremo però in grado di prevedere che avranno bisogno di un aiuto in più. Non penseremo che fanno gli sciocchi; riusciremo a vedere dalla loro prospettiva che le cose non sono andate nel modo sperato e offriremo il nostro aiuto per tranquillizzarli; una volta che si siano calmati potremo aiutarli anche a trovare una soluzione.
Non vogliono renderci le cose difficili. Sono loro che vivono un momento di difficoltà.
Adoro questa idea (attribuita all’educatrice Jean Rosenberg che l’ha espressa nel suo articolo sul “New York Times” Seeing Tantrums as Distress, Not Defiance, ossia “Vedere i capricci come sofferenza, non come disobbedienza”). Quando capiamo che il loro comportamento difficile è in realtà un grido d’aiuto, possiamo chiederci: cosa posso fare per essere d’aiuto?
Passeremo quindi dal sentirci attaccati alla ricerca di un modo per essere incoraggianti.
Sono impulsivi. La loro corteccia prefrontale (la parte del cervello che ospita i centri preposti all’autocontrollo e ai processi decisionali) è ancora in via di sviluppo (e lo sarà per i successivi vent’anni). Ciò vuol dire che si può rendere necessario il nostro aiuto per indirizzarli quando si arrampicano sul tavolo per l’ennesima volta o se afferrano qualcosa dalle mani di un altro, restando calmi e pazienti quando si fanno prendere dall’emotività. Mi piace dire: “Siamo noi la loro corteccia prefrontale”.
Hanno bisogno di tempo per elaborare ciò che diciamo. Anziché dire di continuo al nostro bambino di infilarsi le scarpe, possiamo contare a mente fino a dieci per dargli il tempo di elaborare la nostra richiesta. Spesso quando saremo arrivati a otto loro staranno iniziando a rispondere.
Hanno bisogno di comunicare. I bambini cercano di comunicare con noi in molti modi. I neonati fanno i versetti e noi rispondiamo facendoli a nostra volta; i più piccoli lallano e noi possiamo mostrarci interessati a ciò che dicono; quando crescono un po’ amano fare domande e rispondere; dal canto nostro, possiamo offrire loro un vocabolario ricco, anche ai più piccoli, che lo assorbiranno come spugne.
Amano diventare esperti. I bambini piccoli adorano ripetere le azioni finché non riescono a padroneggiarle. Osservateli e vi accorgerete che stanno lavorando per diventare esperti.
Di solito si tratta di qualcosa di abbastanza difficile e che può rappresentare una sfida, ma non tanto da farli rinunciare. Ripeteranno quel processo moltissime volte, finché non l’avranno perfezionato; una volta padroneggiato, proseguiranno oltre.
Amano dare il loro contributo ed essere parte della famiglia. Sembrano più interessati agli oggetti che usano i genitori che non ai loro giocattoli. Amano davvero lavorare affianco a noi mentre prepariamo da mangiare, carichiamo la lavatrice, ci prepariamo per accogliere gli ospiti e cose del genere. Quando concediamo più tempo, predisponiamo le cose al successo e abbassiamo il livello delle aspettative legate al risultato, insegniamo moltissimo ai nostri bambini piccoli su come essere un membro della famiglia che dà il suo contributo. Sono cose che si amplieranno quando andranno a scuola e quando si affacceranno all’adolescenza.