CAPITOLO 36

U come UMILTÀ

La prima cosa che dobbiamo fare è imparare l’umiltà. Non dobbiamo considerarci né come creatori dei bambini, né come modelli per loro da imitare, ma solo come aiutanti e sempre pronti a confortare queste piccole anime, che pazientemente lottano per dirigersi verso la Luce.1

Bisognerebbe che noi ci rivestissimo di umiltà. ... Sostiamo un poco per vedere se invece che il bambino debba imparare da noi, non avessimo noi molto da imparare da lui.2

Incoraggio ogni insegnante e ogni genitore non a dare molte direttive, bensì ad essere umile e semplice nel trattare con i bambini piccoli. Le loro vite sono nuove, prive di rivalità o ambizioni esterne, basta così poco per renderli felici, per lasciarli lavorare a modo loro allo sviluppo normale di quella donna o quell’uomo che diventeranno.3

Umiltà: una parola caduta ormai in disuso… Nell’epoca del trionfo dell’ego sembra non esserci più spazio per questa virtù dai toni antichi. Eppure essa è la base della vita spirituale. Ce la insegna Saturno, il pianeta delle prove, a suon di bastonate in testa e sulle mani: la impariamo quasi sempre dalla sofferenza e dal dolore.


Umiltà viene da umus, che vuol dire ‘terra’: semplici come lei dovremmo essere per essere fecondi. Ancora più se vogliamo far germogliare semi e crescere bambini.


Essere disposti a incontrarli e a imparare ciò che questi maestri in incognito hanno da insegnarci: ecco l’atteggiamento che dovrebbe appartenere a noi educatori o genitori. Non imporre ma accogliere, non dare direttive ma osservare, non insegnare ma accompagnare ed essere presenti. Non giudicare ma piuttosto accettare e comprendere, non criticare ma valorizzare, non sottolineare i difetti ma dar risalto alle virtù. Non mortificare ma offrire uno sguardo che apprezza e per questo cura. Non umiliare, mai. Che l’umiltà è cosa ben diversa dall’umiliazione: l’una è qualità che rende capienti, l’altra è azione che svuota e che degrada. E può lasciare macchie che durano nel tempo.


Maria diceva che l’adulto deve farsi umile e imparare dal bambino a essere grande. Sì, perché occorre farsi piccoli per diventare grandi. E imparare dai bambini l’essere qui, nell’attimo presente.


Basta così poco per renderli felici: un legnetto, una foglia o un fiore, un animale da accarezzare, un prato su cui correre e rotolarsi o dove annusare il profumo del fieno, ma anche un abbraccio, una carezza, un sorriso. La possibilità di scegliere, di concentrarsi in un lavoro senza essere interrotti, di fare da soli è per loro motivo di gioia grande. Il nostro compito è umile, dice Maria, perché consiste nel “prendere le cose che sembrano difficili e farle facili”4, non semplificandole ma rendendole chiare e accessibili anche ai bambini più piccoli.


Noi non dobbiamo che esserci e osservare, esserci senza esserci, fare senza fare: una presenza discreta e attenta, amorevole e silenziosa, una presenza delicata, rivestita di umiltà. Che li conforti nelle difficoltà e li aiuti nell’immensa fatica di crescere e di volgersi verso la Luce.