CAPITOLO 8

D come DEVIAZIONI

All’origine di tutte le deviazioni sta un fatto solo: cioè che il bambino non ha potuto realizzare il disegno primitivo del suo sviluppo, agendo su di lui l’ambiente nell’età formativa: quando la sua energia potenziale doveva svolgersi attraverso l’incarnazione.1


No, l’adulto non ha viziato il suo bambino quando gli ha ceduto, ma quando gli ha impedito di vivere e lo ha spinto verso deviazioni del suo normale sviluppo.2

Non esistono bambini difficili: è il titolo di un bellissimo libro dell’antroposofo Köhler che ci offre riflessioni interessanti sul tema del disagio infantile, molto in linea, a mio parere, con il pensiero montessoriano. Perché quelli che noi chiamiamo “bambini difficili” sono in realtà bambini incompresi, che noi non sappiamo vedere e ascoltare. Oggi vengono sempre più patologizzati ed etichettati, le mamme giungono da me con diagnosi che hanno il suono di sigle: ADHD, “mi hanno detto che mio figlio è iperattivo”. A volte, fin da piccoli (specie negli USA), sono anche imbottiti di psicofarmaci, che alterano i processi biochimici con effetti che si ripercuotono su tutto l’essere del bambino, anche sulla sua “costituzione animica”, come sottolinea Köhler.


Ma l’approccio medico a questi comportamenti infantili, prettamente materialistico, non tiene affatto conto della complessità e multidimensionalità di un essere umano e “ricerca a tutti i costi in quel che è speciale lo strano, nell’originalità l’anormalità, nel turbamento la carenza.”3


Cosa ci stanno dicendo quindi questi bambini tristi, soli, collerici e agitati?

Che hanno bisogno di calore. Non solo quello di una casa con il riscaldamento o il caminetto acceso. Hanno bisogno di calore umano: perché il calore è ciò di cui si nutre l’anima. E può regalarlo solo un cuore vibrante e colmo di compassione, non certo lo schermo di un computer o di un cellulare.

Hanno bisogno di uno sguardo colmo di interesse, empatico, attento e per questo amorevole. Uno sguardo che sappia comprenderli nelle loro paure, nelle loro angosce, nella loro solitudine o nella loro rabbia.


Il bambino pauroso e timido, per esempio, va protetto e incoraggiato, bisogna fargli sentire che siamo lì per lui, che non lo abbandoneremo mai; il bimbo triste e melanconico, che ha la sensazione di “sentirsi escluso da quel che accade nel mondo” va consolato e coinvolto, per esempio nelle attività di cucina, ma anche nell’inventare storie o in giochi di società, spiegandogli sempre quello che sta succedendo e invitandolo a osservare i dettagli dell’ambiente intorno a lui; il bambino collerico e agitato, il cui trauma originario è il sentirsi non desiderato, ha bisogno soprattutto di essere accettato e rispettato per quello che è, e di sentire la nostra stima nei suoi confronti nonostante tutto. Ognuno ha un suo bisogno e in accordo al suo temperamento va trattato e accolto; Köhler, a questo riguardo, ci offre indicazioni pratiche importanti che possono, a mio avviso, integrarsi perfettamente con la visione montessoriana. Forse, in questo senso, c’è un ponte ancora tutto da costruire tra Steiner e Montessori.


Se è vero che oggi cresce sempre più il numero dei ragazzi depressi o afflitti da ansia e attacchi di panico, è vero anche che i bambini con difficoltà di comportamento esistevano anche ai tempi di Maria. Sentite come ne parlava lei, in termini estremamente attuali, in un corso a Londra nel 1946: “I bambini difficili diventano sempre più numerosi. Non dobbiamo pensare che nel 1946 i bambini siano improvvisamente divenuti peggiori. Non è il risultato dell’evoluzione, i bambini sono più o meno gli stessi di quelli che sono sempre stati. Pertanto non è colpa dei bambini”4. I bambini – ella prosegue – vivono ormai in condizioni ottimali, sono ben nutriti, ben vestiti, curati, frequentano la scuola e luoghi di svago e all’aria aperta, e i genitori sono sempre più consapevoli. Allora dov’è il problema?