CAPITOLO 12

F come FIDUCIA

I problemi dell’educazione si risolvono con la semplicità, la fiducia e la stima del bambino. Ci sono dei pedagogisti che dicono che bisogna conoscere la pedagogia, ma la cosa fondamentale è invece la fiducia nel bambino, la fede nelle sue forze, il rispetto della sua personalità, il riconoscimento che egli è superiore a ciò che crediamo.1

Che belle parole! Sono tra le mie preferite di Maria e mi hanno fatto riflettere a lungo…

Ci sono due modi, io credo, del tutto opposti di guardare alla vita: con fiducia oppure senza. Fiducia nella vita e in chi la regge, nel grande disegno divino di cui tutti siamo parte.


Sulle due sponde anche il vocabolario è diverso: la “fides” fa da spartiacque.

Fiducia e fede: ecco due parole intercambiabili su cui si fonda un’educazione che cura (quella che gli antroposofi chiamano “pedagogia curativa”).


Maria Montessori lo spiega molto bene in poche, semplici frasi: ciò che conta non sono tanto i sistemi di pensiero, le teorie pedagogiche, ma la fiducia che l’adulto ripone nel bambino, “la fede nelle sue forze”, la profonda convinzione che ce la farà, nonostante tutto. È di questo che i bambini hanno bisogno per diventare uomini e donne in piedi. Sì, perché senza fiducia e fede non si può vivere e nemmeno morire. Proprio come la terra ha bisogno del concime per nutrire i giovani germogli, la fiducia è essenziale per crescere bene.


La prima fiducia che deve svilupparsi nel bambino, ci ricordano gli antroposofi, è quella nel corpo, poi quella nell’ambiente e infine nel senso della vita: ognuna è come un mattone su cui si basa quella successiva. La fiducia nel corpo nasce fin dai primi momenti di vita sulla base delle cure che riceve il neonato, sul modo in cui è tenuto, toccato, accudito, nutrito. La fiducia nell’ambiente si fonda sulla costanza e la prevedibilità dello stesso: un ambiente, con le persone che lo abitano, che è sempre lì per il bambino, ma pronto a trasformarsi per rispondere alle esigenze di ogni epoca della sua vita. Sono la fiducia corporea e la fiducia sociale che rendono possibile lo sviluppo della fiducia nel senso della vita, senza la quale non si può avere il coraggio di seguire la propria strada e diventare chi si è chiamati a essere.

I genitori hanno un ruolo fondamentale in tutti questi processi e altrettanto lo hanno gli educatori.


Come dicono i Magi, riferendosi a Maria e Gesù, nel bellissimo film di Guido Chiesa “Io sono con te”, “Il vero miracolo è una madre che ha creduto fino in fondo nel suo bambino”. Che l’ha difeso anche quando tutti le davano contro, che non ha mai dubitato delle sue capacità e della sua possibilità di farcela, nonostante magari le difficoltà e le condizioni avverse di partenza; che l’ha lasciato libero di sperimentare fidandosi di lui e della sua innata saggezza. Ne ho conosciute tante di madri così.


Ma esistono anche insegnanti che credono profondamente nelle risorse nascoste e nelle potenzialità del bambino. Una di queste era Anna Maria Maccheroni, allieva di Maria Montessori. Ella racconta la storia di una bambina, una sua piccola alunna, che arrivava a scuola la mattina, si sedeva e guardava gli altri bambini lavorare senza mai mettersi personalmente alla prova con nessun materiale. Questo suo comportamento durò per un mese intero: oggi sarebbe stata etichettata come asociale e problematica e sarebbero stati presi provvedimenti a suo riguardo, mentre la Maccheroni dimostrò di avere una fiducia così grande nelle sue capacità che attese con infinita pazienza per quel tempo così lungo fino a quando una mattina la bimba arrivò in classe, andò a prendere un materiale e ci lavorò con perfetta maestria. E lo stesso avvenne con altri materiali, il cui uso lei aveva imparato alla perfezione grazie a quel prolungato periodo di osservazione, che fortunatamente fu rispettato dall’insegnante, anziché essere impedito come sarebbe successo oggi o in altre condizioni anche allora. Ecco perché Maria diceva agli adulti (educatori o genitori che fossero) che, quando si ha a che fare con i bambini, “la prima cosa da imparare è restare in attesa”2

Ma quanti di noi sanno farlo?