CAPITOLO 20

M come MAESTRO

Dopo tutto, chi di noi è il maestro?1

Ecco una bella domanda che ogni educatore (ma anche ogni genitore) dovrebbe porsi di fronte al bambino.

Maria Montessori l’ha fatto, con grande umiltà, e si è resa conto che l’educazione è un atto di “cooperazione tra l’anima del bambino e l’anima del maestro”2.


Una visione ben diversa da quella della pedagogia dei suoi tempi, in cui l’insegnante era considerato un’autorità dotata di un notevole potere e anche del permesso di utilizzare strumenti come le punizioni per ottenere l’obbedienza passiva degli alunni. Il maestro insegna, gli allievi fermi e zitti ascoltano: ecco qual è stata per tanti secoli (ma purtroppo a volte lo è ancora) la situazione negli ambienti educativi tradizionali.


Maria, con il suo “metodo” (che non è un metodo ma un profondo messaggio spirituale) ha portato la rivoluzione dentro alla scuola. “Nelle nostre scuole, il maestro deve avere un atteggiamento diverso dall’atteggiamento dell’insegnante nelle scuole tradizionali”, ella scrive, deve riconsiderare il suo compito e la sua stessa personalità perché “il compito principale non è imparare il metodo, ma aprire le porte ad una nuova e migliore condizione di vita per il bambino”3.


Parole queste che andrebbero scolpite sul portone di ogni scuola Montessori che vuole fregiarsi di questo nome. Perché troppo spesso, ahimè, è proprio ciò che viene dimenticato: nella frenesia e nell’esaltazione di applicare la tecnica ci si scorda dello spirito che vi sta dietro e che la anima, senza il quale ogni tecnica è morta, non è altro che un ramo secco che si è staccato dall’albero che lo nutre.


“L’educatore deve preoccuparsi soprattutto di conoscere il bambino e di amarlo”4: il che vuol dire per esempio essere a conoscenza della sua biografia, della storia della sua nascita e del rapporto con la madre e con il padre, dell’ambiente in cui vive a casa, in famiglia.


Per Maria l’educatore è più che altro un catalizzatore, o meglio un “rianimatore”, il cui scopo è risvegliare l’anima dormiente del bambino, suscitare entusiasmi, accendere in lui la scintilla dell’interesse e poi lasciarlo libero di sperimentare: “Come dobbiamo chiamare un bambino con il suo nome prima che egli possa rispondere, così è necessario chiamare con vigore per svegliare l’anima”.5


Per lei il maestro non è un tecnico che insegna nozioni ma un artista che, proprio come Michelangelo, tira fuori un capolavoro da un blocco di marmo soltanto togliendo ciò che è in più, ciò che è superfluo. Ma c’è una condizione essenziale perché ciò avvenga: il capolavoro racchiuso nella pietra lo deve vedere prima di poterlo svelare al mondo. Deve essere capace di percepire ciò che è invisibile agli occhi altrui per essere in grado di sollevare il velo e mostrarlo anche a chi pare cieco di fronte a tanto splendore. Non tutti però sanno vedere… “Non basta che un oggetto sia innanzi ai nostri occhi perché noi lo vediamo: bisogna che ci portiamo la nostra attenzione”6, diceva Maria. Bisogna che siamo interessati a vederlo, che vi ci soffermiamo con calma, con mente aperta, senza pregiudizi e soprattutto con fiducia.


Questo è l’atteggiamento di un mentore: cioè di colui che percepisce l’altro nella sua essenza, che ne riconosce l’anima e quindi è in grado di aiutarla a sbocciare. Perché, come ben ci ricorda James Hillman, l’essere percepiti e riconosciuti apre una possibilità di redenzione, è una sorta di benedizione: quando qualcuno ci riconosce ci sentiamo accolti, benvenuti nel mondo, e ciò che era solo possibile diventa auspicabile, godibile. L’anima può discendere e mettere radici.


Colui che ci guarda e coglie la nostra essenza ci fa da specchio: ci aiuta a scoprire il nostro vero volto, ci assicura che andiamo bene così, che non c’è nulla di sbagliato, che possiamo proseguire sulla nostra strada, che c’è un posto anche per noi in questo mondo, a volte così strano e complicato.


Il maestro per Maria Montessori è anche un regista, che sa dirigere e incanalare le energie del bambino nella giusta direzione, sa guidarlo verso uno stato “naturale”, sa aiutarlo a ritrovare il suo “volto originale”, sa accompagnarlo nelle sue esperienze in modo da far sì che raggiunga il massimo delle sue possibilità.


“Il compito dell’educatore è quello di fornire al giovane i mezzi necessari al naturale sviluppo del suo spirito”7, giacché “Giustizia è dare ad ogni essere umano l’aiuto che può portarlo a raggiungere la sua piena statura spirituale”8, diceva Maria. È il compito più alto. È ciò che ci fa dire “io non abbandonerò mai questo bambino, neanche per un minuto. Lo lascerò soltanto quando avrà imboccato il sentiero che sarà in grado di seguire da solo”9.