CAPITOLO 1

Scuola e società in Maria Montessori

La sensibilità sociale di Maria Montessori, unitamente alla sua convinzione che l’organizzazione della società influenzi profondamente la scuola e il successo scolastico del bambino, è assai evidente negli scritti “giovanili”, mentre si stempera nella fase più matura, quando essa sembra lasciare il campo ad una prospettiva più irenica ed universalistica. Uno dei presupposti di quanto sostenuto in questo capitolo, quindi, risiede nell’accoglimento della tesi – illustrata nella premessa – di una Montessori “una e bina”, mentre l’altra ipotesi fa riferimento alle unanimemente riconosciute radici positivistiche della formazione della studiosa marchigiana, che pure si distingue originalmente nel panorama del positivismo pedagogico italiano, come rileva Remo Fornaca quando scrive: «Nella crisi e nel superamento del positivismo, specie pedagogico e scolastico, la Montessori veniva a collocarsi in una posizione del tutto originale, proprio nel modo di interpretare i fenomeni educativi e l’assetto delle istituzioni infantili»1.


La formazione positivistica di Montessori traspare chiaramente dalla sua valorizzazione del metodo scientifico, che la giovane studiosa acquisisce e che poi contribuisce ad innovare con originalità. I positivisti credono infatti in una pedagogia scientifica come scienza esatta ed in cui la prospettiva induttiva è basilare. Al contempo, almeno i più progressisti fra loro, colgono anche quella che possiamo definire la dimensione sociale dell’educazione e cioè lo stretto legame che esiste tra la scuola e la società. Nel cogliere questi caratteri Giovanni Genovesi ha scritto con chiarezza: «Il Positivismo è animato dalla fede nel progresso dell’umanità, sia pure concepito in termini “non più lineari, ma come risultante della convergenza e del contrasto tra forze”, sotto la spinta della scienza, della tecnica e del lavoro umano quali immancabili instauratori di giustizia e di tolleranza. Esso, pertanto vede nell’istruzione e nell’educazione i doveri più urgenti. Per assolvere tali doveri occorre però dare all’educazione una base sperimentale, fare cioè della pedagogia una scienza esatta, in cui il momento intuitivo occupi un posto preminente rispetto a quello deduttivo. Ossia, la scienza pedagogica in quanto scienza deve fondarsi sull’osservazione sistematica del fatto, del particolare osservabile per giungere così, attraverso collegamenti fra i risultati di varie osservazioni, alla formulazione di leggi universali non a priori, ma dedotte dalla collazione di esperienze simili»2.