CAPITOLO 2

Il femminismo di Maria Montessori

La complessa ed interessante esperienza culturale ed umana di Maria Montessori pur avendo ormai trovato numerosi biografi in ogni parte del mondo, presenta ancora oggi delle fasi oscure e poco studiate, come quella relativa agli anni giovanili caratterizzati dalla frequentazione degli ambienti femministi, che si impegnano in particolare per il rinnovamento dei costumi, ma non sono in alcun modo assimilabili ai movimenti che pure, nel nostro tempo, hanno mantenuto la medesima denominazione. Tale ritardo appare tanto più dannoso ove si consideri l’importanza che questo periodo riveste per la “scelta di vita” della studiosa marchigiana, che caratterizza la sua ricerca pedagogica anche in virtù della sua già ricordata sensibilità sociale e della adesione alle idee femministe del tempo, che le saranno presenti pure nella stesura dei suoi primi lavori, quale – esemplare ed emblematico – il discorso inaugurale in occasione dell’apertura della seconda “Casa dei Bambini”. Il femminismo di Maria Montessori, comunque, non ha niente dell’emancipazionismo che si sviluppa in Italia nella seconda metà dell’Ottocento e che ha in Anna Maria Mozzoni la sua esponente più prestigiosa, ma si situa all’interno di quel movimento femminista moderato che in quegli stessi decenni si muove all’interno dell’ambiente politico e culturale di orientamento moderato1.


La medesima peculiarità caratterizza d’altra parte anche l’International Council of Women, che raggruppa rappresentanze femminili di molti paesi del mondo e che è istituito nel 1893 con il congresso di Chicago. In questa occasione viene anche stabilito che in ogni paese sarebbero dovuti sorgere i Consigli Nazionali delle donne, con lo scopo di coordinare le iniziative di tutti quei gruppi o associazioni impegnati in qualche modo nella difesa e nella rivendicazione degli interessi femminili. Nel nostro paese la istituzione del Consiglio Nazionale avviene in maniera semiclandestina, per la relativa diffusione dei gruppi femministi e per la presenza di diverse “Leghe di tutela degli interessi femminili”, forti soprattutto in Lombardia e Piemonte e vicine in gran parte al Partito socialista. La delegata dell’ICW, d’altra parte, venuta a Roma per favorire la istituzione del nuovo organismo, non si impegna più che tanto nella ricerca di consensi generalizzati, ma si “accontenta” di trovare persone che – per condizione economica e per prestigio sociale – siano in grado con il loro nome, ed in special modo con le loro finanze, di favorire il decollo della nuova organizzazione. Ciò non può non destare sospetti e diffidenze nel movimento democratico che, in effetti, non riconosce al Consiglio Nazionale Italiano i titoli per rappresentare all’estero la totalità delle donne del nostro paese.