CAPITOLO 1

Maria Montessori:
memorie, esperienze, allieve e allievi

di Grazia Honegger Fresco

Infanzie

Mi ha sempre interessato conoscere, nella storia di individui più o meno celebri, tracce della loro infanzia. Si sa molto di quella di Mozart, assai meno di Nannerl, sua sorella maggiore, che pare suonasse meglio di lui, ma non aveva le stesse capacità creative. Sappiamo di “bambiniprodigio” (non sempre felici di esserlo) come Saint-Saens, Listz Paganini, Chopin…


Pensiamo a infanzie irripetibili come quelle dei ragazzetti che a Firenze, nel Quattrocento facevano i garzoni nella bottega del Verrocchio e che, grazie al clima di quella scuola, agli scambi tra loro e ai loro stessi geni, si rivelarono essere Botticelli, Perugino, Signorelli, Ghirlandaio e perfino Leonardo. E le donne? Vengono in mente Lavinia Fontana o Artemisia Gentileschi che, bambine, in pieno Cinquecento, presero pennelli e colori dalla scuola paterna e cominciarono a dipingere; Carla Fracci che ha trascorso un’infanzia quieta e modesta in una zona di campagna; la coraggiosa Frida Khalo e molte altre che, giovanissime – malgrado i soliti pregiudizi – sono riuscite lottando a trovare le strade per farsi riconoscere. L’infanzia è davvero un grande mistero nella sua evoluzione.


Sul piano scientifico, tra Ottocento e Novecento, abbiamo molti più nomi: biologhe, matematiche, astronome. Ricordiamo per esempio Maria Sklodovska Curie, la fisica Lise Meitner, la biochimica Rosalind Franklin, che per prima scoprì la doppia elica del DNA, ma due colleghi maschi che lavoravano con lei se ne attribuirono il merito e la derubarono del Nobel. Tra loro c’è anche Maria Montessori, per il fatto di essere stata una delle prime donne medico in Italia, anche se non la prima, come molti continuano a scrivere. Certo fu la prima a Roma e, come si sa da un suo piccolo diario, oggi nell’Archivio “M. Montessori” ad Amsterdam, dovette mostrare non poca determinazione.


Nata il 31 agosto 1870, della sua infanzia abbiamo notizie attraverso appunti raccolti dal padre Alessandro, che ne misurò ogni anno l’altezza, annotò che a sette mesi diceva mamma e papà, a undici camminava da sola, a diciannove sapeva già spiegarsi molto bene. A dieci mesi, novità assoluta per l’epoca, venne vaccinata contro il vaiolo. Una bambina che cresce sana e vivace. Tutto nella norma. A scuola non è particolarmente brillante. Preferisce giocare con le compagne e, ragazzetta, recitare, tanto da voler frequentare per questo una scuola – sarà il padre ad accompagnarla – e lì riscuoterà un discreto successo. Tuttavia, in seguito si indirizzerà verso studi di tipo tecnico – matematico. Immagino Maria, bambina intelligente e curiosa che va dietro a suo padre, ispettore dei tabacchi, controllore attento del numero di piante coltivate nei campi. Forse colse lì i primi rudimenti del calcolo aritmetico.


D’altro lato sua madre (Renilde Stoppani, 1840-1912) era un’appassionata lettrice e anche la figlia lo diverrà. Quali libri avrà letto da ragazzina? Che cosa c’era ai suoi tempi? Uno dei primi libri per l’infanzia, uscito a puntate nel 1878, era stato Giannettino di Carlo Collodi, seguito nel ’79 da Minuzzolo. Avventure e birichinate di birbantelli simpatici quanto indisciplinati che alla fine un dottor Boccadoro con saggezza e comprensione riconduce su sentieri ragionevoli. (Libri da maschi, diceva mia madre un secolo dopo, come il celebre Giamburrasca, creato da Vampa agli inizi del Novecento). I due di Collodi sono entrambi un anticipo, nello stesso bellissimo italiano, di Pinocchio del 1881-82, tanto più ricco e incisivo, il capolavoro che tutti conosciamo e che, non a caso, conquistò subito i più giovani, anche le femmine. E questo forse lo avrà letto. Non c’era una grande scelta: nel 1875 erano uscite le Memorie di un pulcino di Ida Baccini, nel ’93 Le novelle della nonna di Emma Perodi. Melense e moralistiche le prime (attraverso il pulcino ti insegno a.…), del tutto irreali le seconde. Entrambe autrici fiorentine, con un ottimo italiano che non nasconde il perbenismo del tempo.


Intanto dal 1842 circolava l’edizione italiana di Robinson Crusoe, primo grande romanzo di avventure.1 Perfino Rousseau nel 1762 lo raccomandava nel suo Émile come essenziale per la formazione di un giovane. In una buona traduzione, è ancora oggi lettura appassionante: ne esiste perfino un film, alquanto insolito, realizzato e sceneggiato nel 1952 da Luis Buňuel. A Risorgimento concluso, la gloriosa casa editrice dei fratelli Treves pubblica a Milano nel 1886 Cuore di Edmondo De Amicis. Tutto al maschile, sul buono e l’indisciplinato, la severità e il senso di giustizia. È il (finto) diario di un ragazzino di terza elementare, che nelle intenzioni dell’autore dà valore alla scuola pubblica in un’Italia da poco finalmente riunita. Inframezzato a predicozzi degli adulti, contiene anche celebri racconti di buon esempio con il ragazzo povero e coraggioso in cerca della madre emigrata, il piccolo patriota e altri giovani eroi.