CAPITOLO 3

L’approccio psico-pedagogico
di Elinor Goldschmied: un tesoro da riscoprire

di Barbara Ongari

Accanto a Maria Montessori ed Emmi Pikler, è una delle tre grandi pedagogiste che hanno attraversato il secolo scorso ed hanno lasciato una traccia fondamentale nel campo dell’accudimento e dell’educazione dei bambini molto piccoli. Una pioniera, che con l’entusiasmo, la generosità, il rigore metodologico e l’acutezza della capacità osservativa si è focalizzata sulla qualità dell’esperienza di vita al nido.


La novità del suo approccio ha introdotto una vera e propria rivoluzione copernicana nella concezione dell’organizzazione dei servizi, da lei intesi come luoghi di vita in cui è fondamentale garantire il benessere di chi vi abita: quello dei bambini unitamente a quello dei loro adulti. Fin dai primi istanti di vita, i bambini sono considerati non come semplici piccoli esseri che richiedono cure nei loro bisogni primari, bensì come persone da rispettare nei loro ritmi biologici e nei loro vissuti e con cui costruire interazioni articolate, emotivamente intense e cognitivamente significative, per favorire la massima opportunità di implementazione dei diversi dominî in cui si realizza la loro personalità. Quindi come individui da comprendere nei loro pensieri e supportare nel percorso di crescita, diverso e unico per ognuno.


In Italia Elinor Goldschmied è nota soprattutto per due originali proposte di gioco, rivelatesi cruciali ai fini del potenziamento della mente e della creatività precoci: il Cestino dei Tesori dedicato ai bambini nel primo anno di vita, che sanno stare seduti ma che ancora non camminano e il Gioco Euristico, un’attività per il secondo anno di vita finalizzata a favorire l’esplorazione e la capacità di concentrazione derivante dall’utilizzo di una serie di oggetti rigorosamente scelti e predisposti.1 Entrambe queste attività rappresentano importanti supporti che permettono ai bambini, fin dalle prime fasi, la possibilità di sviluppare modalità creative di pensiero, capaci di instaurare un rapporto vitale con la realtà esterna e un senso autentico del sé in quanto soggetto capace, come sosteneva Winnicott, di “ricreare” il mondo.


Minor riconoscimento è stato invece riservato all’approccio da lei suggerito per le comunità infantili a livello organizzativo, basato sul concetto della Persona Chiave: una modalità di impostare il lavoro che ha l’obiettivo di creare relazioni interpersonali fortemente individualizzate e rassicuranti con ogni bambino e con i suoi genitori, in grado di implementare la motivazione e la spinta esplorativa, a partire dalla sicurezza emozionale derivante dalla stabilità e continuità dei caregiver di riferimento.2 L’innovazione è qui rappresentata dal fatto che l’attenzione organizzativa deve tener presente comunque sempre, in contemporanea, i vissuti degli adulti oltre che quelli dei bambini.


In tutta la sua lunga attività di formazione e di supervisione Elinor si è proposta nei termini di una presenza di accompagnamento accogliente e riflessiva, trascorrendo giornate intere accanto al personale dei nidi, ascoltandone e condividendone le fatiche fisiche ed emotive, oltre alle soddisfazioni e vivendole dall’interno di ogni specifica realtà organizzativa. Con lei le operatrici (educatrici, coordinatrici e ausiliarie) sono state per la prima volta autorizzate a parlare di sé, a dar voce a un mondo inesplorato di idee, valori e sentimenti.3 Anche i vissuti dei genitori, spesso faticosi e bisognosi di comprensione, sono divenuti il centro della sua costante e attenta presenza nei servizi.


Sul piano metodologico, Elinor Goldschmied ha ribadito infatti la necessità di prendere in considerazione prioritariamente la situazione di vita reale degli adulti, educatori e genitori, impegnati nel complesso lavoro di accudimento e educazione dei bambini piccoli e la qualità degli ambienti concreti dove essi trascorrono il loro tempo, nella convinzione che dal loro stare bene dipende quello dei bambini. Per quanto riguarda gli operatori dei servizi, centrale deve essere l’attenzione da riservare allo svolgersi della loro giornata nello spazio del nido, oltre al loro stare emotivo nella situazione relazionale e lavorativa.


L’unicità del suo pensiero psico-pedagogico consiste nella genialità con cui, sulla base della propria personale esperienza di vita, arricchita dalle riflessioni derivate dalla sua formazione psicoanalitica e dagli scambi (iniziati in giovane età e proseguiti anche negli anni dell’anzianità) con i grandi psicologi infantili del suo tempo, ha declinato in termini educativi e tradotto in suggerimenti operativi il patrimonio di fondamentali innovazioni scientifiche che hanno rivoluzionato la concezione dell’infanzia nello scorso secolo.


Il suo contributo alla qualità dei servizi per la prima infanzia si è focalizzato sulla possibilità di studiare, per ogni singolo nido in cui ha lavorato, situazioni innovative e piacevoli per grandi e piccoli, tenendo conto della specificità del contesto, delle culture di riferimento, delle pratiche ripetute nella quotidianità e della qualità dell’esperienza delle persone che vi operano.


Nessun formatore, prima di lei, aveva dedicato tempo, delicatezza ed empatia all’osservazione minuziosa di come di fatto si svolge la vita degli adulti a contatto con i bambini nei nidi, cogliendo e valorizzando ogni minimo aspetto dell’ambiente, dei materiali e delle interazioni tra i diversi protagonisti, grandi e piccoli.