La Montessori parla di come applicare la scienza per trasformare, arricchire e aiutare lo sviluppo della personalità. Scoperta dei periodi sensitivi. L’educatore deve farsi guidare dalle rivelazioni del bambino, dalle sue energie nascoste.
4 settembre 1946
Ad oggi esistono molti metodi di educazione ed è difficile conoscerli tutti. Il metodo che porta il mio nome di solito è considerato come uno dei tanti e per questo sorgono dei dubbi e si giunge a conclusioni che confondono le idee, invece di chiarirle: per questo motivo, vorrei dimostrarvi in che modo il mio metodo è diverso. Gli altri approcci sono il risultato degli sforzi di persone geniali e dotate di un grande amore per l’umanità, mentre nel caso del metodo che porta il mio nome non si tratta dello sviluppo delle idee elaborate da una grande mente. Il mio metodo – così come la nostra ricerca – si basa sul bambino, prevede di seguire il piccolo e la sua psicologia ed è oggettivo, non soggettivo come tutti gli altri approcci. Infatti è sempre fondato sulla nostra capacità di interpretare l’osservazione dei fenomeni che hanno origine nel bambino stesso.
Vi verrà spontaneo domandare: “Se un metodo è qualcosa che qualcuno pensa ed espone, perché, allora, si chiama “Metodo Montessori’? Perché porta il tuo nome?”. Ebbene, non sono stata io a chiamarlo così. Il titolo che ho dato al libro che tratta di quei primi esperimenti era Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini. Ogni scienza ha un metodo e io volevo descrivere quello applicato alla pedagogia. Quando è arrivato il momento di tradurre il titolo in inglese (o meglio in inglese americano), gli editori dissero: “Santo cielo, che brutto titolo! Rendiamolo più semplice, chiamiamolo The Montessori Method”. Da quel momento, tutte le edizioni inglesi hanno usato questo nome.
Il nome, di per sé, non aveva importanza e non ha suscitato alcun interesse. Ciò che ha destato scalpore è stato il fatto che un metodo scientifico venisse applicato all’educazione. L’importante non era né il titolo del libro né la sua pretesa scientifica, ma il fatto che si verificassero dei fenomeni imprevisti e, soprattutto, che avessero origine nei bambini.
Vorrei fare qualche osservazione sulle intenzioni della pedagogia scientifica, a quel tempo. Si parla di quaranta o cinquanta anni fa. Questa disciplina è il risultato delle buone intenzioni di chi desiderava migliorare le condizioni scolastiche di allora: le scuole dell’epoca risentivano di duecento anni di errori e i bambini soffrivano molto. Si doveva fare qualcosa e l’unico modo di cambiare le cose era farlo in maniera scientifica, ragion per cui il nuovo metodo venne chiamato pedagogia scientifica. “Dobbiamo capire il bambini per poterli istruire”, questa era l’idea di base. Quindi come prima cosa dovevamo capire i bambini.
Per cui ci siamo detti: “Faremo quel che possiamo”. E lo abbiamo fatto: abbiamo cominciato a prendere le misure per capire quanto erano alti i bambini a una certa età: quali erano le dimensioni della testa, del naso ecc. Abbiamo condotto ricerche antropologiche e abbiamo tenuto traccia delle storie personali e familiari dei bambini, delle malattie che avevano avuto e del loro status sociale ed economico. In alcune scuole si trovano ancora le schede personali degli alunni, a testimonianza dei tentativi che sono stati fatti cinquant’anni fa per imparare a capire i bambini.
Ma ovviamente era impossibile, perché quando abbiamo compiuto questi sforzi sapevamo ancora pochissimo di psicologia infantile. Alla fine, questo approccio è stato abbandonato, ma ha mostrato le buone intenzioni di chi desiderava migliorare le condizioni nelle scuole.