Saluto dell’Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Brescia, Roberta Morelli
Buongiorno a tutti.
Io desidero ringraziare per questo invito. È già il terzo anno che partecipo al convegno organizzato dall’Associazione Montessori Brescia e ogni anno trovo sempre più partecipanti quindi desidero complimentarmi per il grande lavoro che sta portando avanti l’Associazione Montessori a Brescia e mi pare anche che la tematica scelta quest’anno, come ha anticipato il Vice Prefetto, sia una tematica di grande interesse perché educazione e pace rappresentano sicuramente una grandissima sfida.
L’idea che occorra lavorare sin nelle più giovani età per cercare di proporre un mondo nuovo, un mondo di pace, non deve lasciare indifferenti né gli amministratori, né i formatori, le famiglie e l’intera cittadinanza perché è ormai chiaro che la pace nella nostra comunità, nel mondo, è questione che riguarda tutti personalmente e non soltanto gli altri.
Quando leggiamo le notizie o ascoltiamo i TG pensiamo che la conquista della pace sia una questione che riguarda gli altri paesi. Non è così, riguarda tutti.
Un tema che deve interessare anche le giovanissime generazioni, per le quali nella legislazione di molti paesi e nella coscienza individuale di ognuno di noi si è sancito un insieme ineludibile di diritti e di tutele.
Oggi si conviene che i bambini hanno rango di cittadini, sono cioè soggetti titolari non soltanto di particolari interessi e bisogni ma anche di veri
e propri diritti che non possono essere negoziati.
In secondo luogo, poiché questi giovanissimi saranno i protagonisti del mondo che verrà, dipende da noi educarli ad un mondo migliore e solo se i
nostri semi formativi saranno in grado di offrire frutti positivi, quel mondo potrà cambiare in meglio.
Per la pace ognuno è chiamato ad agire nel proprio ambito. Siamo chiamati ad impegnarci per difendere la giustizia, per porre riparo all’ingiustizia,
per non diventare conniventi e per non essere omissivi, siamo chiamati tutti come cittadini, amministratori…
È necessario dunque un grande coraggio, non il coraggio di esibirsi che è vanagloria ma bensì quello di continuare a fare ciò che in coscienza ci
sembra giusto e doveroso fare con impegno, insieme agli altri, rivendicando il valore della pace.
Un impegno che va perseguito pure nell’ambito di iniziative volte alla formazione di un’autentica cultura di pace da impartire a ogni età nell’ottica
di una formazione permanente che deve prendere mosse sin dalla più tenera età.
Io non sono un’educatrice di professione ma come voi provo a vivere secondo le indicazioni di un’etica che si fonda sul quotidiano riconoscimento del
valore della pace e qui provo a farlo, come dire, da cittadina, come donna impegnata nelle Istituzioni e nell’associazionismo aprendomi a quella che è
l’analisi della sfera propriamente umana.
Sento di vivere e operare nella realtà di un mondo globalizzato con l’acuirsi, e questo lo dobbiamo ricordare e sottolineare, del fenomeno della
povertà, della crisi delle istituzioni democratiche, con l’esodo dei profughi e il rinforzarsi di quelle che sono le correnti migratorie che sempre un
conflitto genera, coinvolgendo l’intero pianeta e quindi pure la città nella quale noi viviamo e lavoriamo
Ecco quindi, credo che educare alla pace, anche nei primi anni di vita significhi per educatori e formatori praticare la virtù dell’essere cittadino
e persona pacifica ma pure fornire il contributo alla cultura della pace.
Sento che la quotidianità, la prassi educativa quotidiana debbano anch’esse declinarsi con vigoroso impegno nell’opera di conoscenza, di
mobilitazione, di promozione umana.
Quindi è un impegno di libertà, volontà di essere solidali poiché davvero appaia plausibile parlare di pace in termini coerenti vivendo finalmente in
una terra di pace come cittadini appassionati di umanità.
Dicevo poc’anzi che per compiere il proprio itinerario di pace, per esercitare nella prassi educativa la formazione alla pace in vista di un mondo
diverso sia indispensabile non soltanto avere il coraggio di denunciare ma soprattutto quello di agire, di creare opportunità di pace, di non
lasciarsi sottomettere, non essere disposti a subire.
Per gli adulti, gli educatori, ciò non significa dimenticare come nella nostra vita, nella nostra città, nel nostro mondo il bene e il male siano
certamente connessi con la vita degli uomini e delle donne ma debbono essere padroneggiabili con quella virtù e quella saggezza che rappresenta un
senso tutto umano della vita, di un presente condiviso con i propri contemporanei, appartenenti alla nostra stessa contrada, al nostro Paese oppure al
mondo intero.
La violenza, lo sappiamo, ha mille facce, mille forme ma individua un’unica ingiustizia e un legame che vincola un oppresso a un prepotente e permane
nel tempo e nei diversi luoghi o età di vita, purtroppo, la continuità più profonda. Le radici della prepotenza e dell’oppressione hanno gli stessi
volti e si alimentano sempre degli stessi meccanismi e cominciano magari da dove meno noi ce l’aspetteremmo, spesso nel luogo più vicino e meno
sospetto a quello in cui vediamo la prepotenza e a questo proposito voglio richiamare una suggestiva riflessione proposta da Francesco Tonucci nel
libro intitolato “La città dei bambini”, uscito alcuni anni or sono, dove l’autore descrive il malessere delle nostre città, la mancanza di vita
pacificata.
Una volta, e ce lo ricordiamo tutti, i bambini avevano paura del bosco anche come ci insegnano le favole e il bosco era il luogo oscuro, misterioso,
pauroso… mentre la loro sicurezza era nelle strade, nei cortili dove ci si ritrovava tutti.
Ora invece è tutto il contrario, la città è il luogo della paura dove per giocare necessitano recinti e sorveglianza, ci si deve proteggere da
possibili violenze mentre il bosco è diventato la meta da raggiungere, il luogo sognato e il luogo dove giocare perché finalmente lontani dalla
città.
Quindi cosa è successo? Che la città è diventata il luogo dove si addensano le paure e per giocare occorrono spazi attrezzati, dove a volte i bambini
simulano i giochi fatti nel bosco.
Quindi non nascondo, senza per questo voler generalizzare oppure sottolineare una rassegnazione, che in città manchi troppo spesso un clima
pacificato, solidale, una visione della pace che deve cominciare da qui, dalle nostre piazze e dal nostro presente e questa è una riflessione
personale e istituzionale.
Quindi noi abbiamo bisogno di una cultura e di un impegno che si occupino della formazione alla pace per rimontare la china e affrontare seriamente
il tema devono saper capire i meccanismi complessi che presiedono la nostra quotidianità. Bisogna essere consapevoli che questo richiede tempi e
sforzi meno frettolosi di quelli che pratichiamo solitamente, bisogna evitare la miopia tragica che trasferisce guerre, ingiustizie, prepotenze ad
altri popoli, come dicevo prima, ciò riguarda solo gli altri. No, riguarda sempre anche noi ad altre classi, ad altri individui che naturalmente non
vivono qui nel nostro sistema sociale e non appartengono alla nostra comunità ma, come dicevo, il tema della pace, dell’oppressione riguardano
tutti.
Noi dobbiamo pensarci, anche se in questo momento fortunatamente non viviamo le tragedie di altri popoli.
Come sostiene efficacemente Don Ciotti nella presentazione di un Volume di qualche anno fa, “Erode è in mezzo a noi, ha mille volti e non conosce
sosta” Ma come dicevo prima non basta denunciare, occorre reagire su piani diversi e intrecciati e cioè la cultura, la politica, l’etica,
l’educazione.
In una parola bisogna costruire ed educare alla pace ed alla giustizia, un impegno che testimoni con un rinnovato patto tra generazioni, questo
impegno testimoniato appunto dall’azione delle Istituzioni, degli educatori, della scuola.
Vivere e testimoniare l’impegno per la pace significa allora, innanzi tutto, rendersi degni di se stessi e parimenti rispettare l’orizzonte
dell’esistenza umana, la fragilità e le imperfezioni dell’opera umana e conoscere quanto è stato concesso all’uomo impegnato a vivere in pace e per la
pace.
In questo campo il numero, la condizione sociale, la sensibilità politica degli uomini, delle donne, delle famiglie non contano perché per difendere
e volere la pace conta soltanto la coscienza nel rispetto rigoroso e non derogabile delle altrui libertà quanto le sue manifestazioni esteriori
individuali e collettive.
Quindi occorre, nel rivolgersi ai bambini e alle bambine, praticare la virtù della fortezza, la volontà di essere solidali e presenti nello sforzo
che altri van compiendo per la pace.
Quindi, in conclusione, essere in egual misura nei comportamenti e negli insegnamenti dei testimoni di coerente attenzione agli atteggiamenti di
pazienza, di ascolto, di offerta, di occasioni di crescita come sta facendo con questo convegno e con il lavoro impegnativo l’Associazione Montessori
di Brescia che ringrazio, ringrazio la sua Presidente, ringrazio tutto il suo Direttivo e quanti hanno collaborato per questo importante lavoro,
questo importante impegno a favore dei giovani, dei bambini e delle giovani generazioni.
Quindi grazie anche per questa importante opportunità di riflessione su Maria Montessori, donna di pace.